Buon Anno dagli Stati Uniti dove il 2016 è iniziato con un simbolico "duello al sole" tra il presidente Barack Obama e una "banda" di cowboys del Far West.
Ecco, in breve, un piccolo riassunto di quanto accaduto nelle ultime settimane.
Come molti ricorderanno, il 2015 si è concluso con un paio di stragi (niente di clamoroso da questa parte dell'Atlantico…) che hanno fatto un totale di 17 vittime: una a Colorado Springs, dove l'ultimo squilibrato di turno munito di pistole e fucili, ha aperto il fuoco in un centro di assistenza sanitaria che fornisce servizi di interruzione di gravidanza allo scopo di esternare il suo disappunto ideologico nei confronti di questa pratica (legale).
L'altro episodio si è verificato a San Bernardino, in California, dove una coppia di fanatici islamici, anch'essi armati fino ai denti, hanno ucciso 14 persone per gli stessi vaghi e indeterminati motivi per i quali i fanatici islamici vanno in giro per il mondo uccidendo chiunque gli capiti a tiro (compresi altri musulmani).
Dal punto di vista propagandistico, sono stati anche due massacri avvenuti all'insegna di una sorta di "par condicio" politica. Quello in Colorado, prontamente descritto dal commentariato di sinistra come il prodotto dei toni estremi della retorica anti-abortista conservatrice. Quello in California, indicato dalla Destra, con in testa il plotone di candidati presidenziali repubblicani, come il sintomo dell'infiltrazione dell'estremismo islamico in America.
Ovviamente il comun denominatore di questi e delle altre centinaia di episodi di violenza armata che si verificano quasi settimanalmente in America, è la strabiliante disponibilità di armi da fuoco che caratterizza questo paese e che costituisce anche uno dei suoi problemi più intrattabili grazie all'atteggiamento dogmatico in materia, che contraddistingue uno dei due principali partiti politici che non esita a bloccare puntualmente ogni tentativo legislativo di porre rimedio al problema.
A dimostrazione di ciò, l'arrivo del 2016 è stato salutato in Texas con l'attuazione di una nuova legge che consente ai proprietari di armi da fuoco non solo di portarsi dietro pistole, fucili e armi automatiche nei luoghi pubblici (compresi parchi, scuole e chiese) ma anche di farne sfoggio mettendoli in bella mostra con cinghie e cinturoni che riportano alla memoria i bei tempi del pionierismo della frontiera.
Immagino che il motivo di questo esibizionismo "rambesco" sia in parte dovuto al fatto che, per i cowboys del ventunesimo secolo, il danno provocato dalle centinaia di migliaia di armi da fuoco in circolazione in America non basta: bisogna aggiungervi anche l'insulto della provocazione.
Pochi giorni dopo questo illuminato provvedimento istituzionale, un altro manipolo di cowboys anch'essi (c'è bisogno di dirlo?…) armati fino ai denti, ha deciso di "occupare" la sede di un rifugio ecologico in Oregon col pretesto di voler dimostrare la loro solidarietà ad un paio di allevatori condannati per aver appiccato incendi su alcuni terreni di proprietà del governo federale. In realtà, anche in questo caso il vero intento dell'azione è stato quello di "dare il via ad un movimento" nel resto del paese e quindi di provocare il governo federale colpevole, ai loro occhi, di aver "espropriato" terreni agli allevatori che avevano colonizzato questo territorio.
La successione storica degli eventi purtroppo non da loro ragione. Nell'Ottocento, durante l'espansione americana verso il West, il governo degli Stati Uniti ha sottratto con la forza territori alle popolazioni indigene native. Una volta eliminati gli indiani che vi risiedevano da secoli, il governo ha assegnato vaste fette di questi territori ai coloni bianchi con un processo passato alla storia col nome di "homesteading". Agli inizi del Novecento, il presidente Theodore Roosevelt, noto naturalista, si rese conto che questo intenso processo di insediamento, iniziava a provocare una seria diminuzione delle aree vergini e selvatiche e incaricò il Ministero degli Interni di riacquistare (non espropriare come era avvenuto il secolo precedente con le popolazioni indigene) vaste porzioni di questi territori da quegli stessi stessi coloni con lo scopo di preservarle sotto forma di aree naturali e parchi nazionali.
Ogni riacquisto di terreni da parte del governo inoltre è avvenuto grazie al fatto che c'è stato qualcuno interessato a venderli. Una transazione quindi basata interamente sulle buone, vecchie regole del capitalismo non su espropri proletari. Una volta tornati sotto la gestione pubblica inoltre, questi terreni sono stati concessi in uso agli allevatori della zona che li hanno utilizzati per farci pascolare il loro bestiame in cambio di quote di affitto nominali sovvenzionate pubblicamente dai contribuenti e che, per questo motivo, sono molto più basse rispetto a quelle di mercato.
Questa è la situazione che ha spinto i miliziani ad occupare, in segno di protesta la proprietà di un governo accusato nientemeno che di "tirannia".
I miliziani hanno dichiarato di essere disposti a difendere la loro "causa" con le armi se le autorità federali dovessero avere l'audacia di provare a rimpossessarsi di ciò che già gli appartiene.
Nel frattempo, a Washington il presidente Obama ha deciso di ignorare, per il momento, le sfide dei cowboys provenienti dal lontano West e tentare invece, con un executive order, di mettere in pratica misure amministrative che limitino la circolazione di armi da fuoco senza l'approvazione di un Congresso risolutamente opposto a qualsiasi iniziativa che possa offendere gli interessi dei fabbricanti d'armi.
Proprio perché si tratta solo di atti amministrativi e non di vere e proprie leggi (che invece avrebbero bisogno dell'intervento del Congresso) queste misure adottate dalla Casa Bianca sono, per definizione, limitate e, per lo più, simboliche. Ma anche se avessero un maggiore potere di applicazione, non riuscirebbero a risolvere un problema la cui magnitudine lo rende già ingestibile in un paese dove ci sono più armi che persone.
Ogni regolamentazione, seppur ben concepita, può avere solo un effetto marginale su un problema che non è tanto logistico o giuridico quanto culturale. Gli americani hanno un'inspiegabile ma innegabile infatuazione per le armi da fuoco che nessuna strage quotidiana, neanche quella di venti bambini alla scuola elementare di Sandy Hook sembra in grado di scalfire. Martedì scorso, il presidente Obama, nel cercare di spiegare il suo executive order, ad un certo punto riferendosi al diritto negato alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità per quei bambini di Sandy Hook, un diritto che la Costituzione USA avrebbe dovuto garantire e che ha invece miseramente fallito, è scoppiato in lacrime. Ma il pianto di Obama, che ha commosso il mondo, in quell'America da Far West, deve essere stato visto come un ennesimo segnale di debolezza.
Nel deridere le misure amministrative attuate da Obama questa settimana, i suoi oppositori ne hanno evidenziato la futilità proprio facendo l'esempio di Adam Lanza, il giovane psicopatico autore della strage di Sandy Hook che ha utilizzato un arsenale di proprietà della madre e che, per questo motivo, sarebbe riuscito a procurarsi pistole e fucili senza aver bisogno di quei controlli preliminari sugli acquisti che Obama ha cercato di implementare questa settimana.
Come evidenziato dai suoi sostenitori, il diritto alle armi in America è scritto nella Costituzione ("Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una milizia regolamentata, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto" – Secondo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti). Molti americani considerano quello al porto d'armi un diritto inviolabile e ritengono il terrificante susseguirsi di stragi e le centinaia di migliaia di morti come un accettabile prezzo da pagare.
Altre cose invece, come quello alla salute e all'assistenza sanitaria che, nella maggior parte dei paesi evoluti sono considerati come un diritto fondamentale, qui sono visti come accessori o, per meglio dire, come un privilegio che bisogna potersi permettere.
Potere di quell'isolazionismo culturale; di un "egocentrismo geografico" che ha sempre consentito all'America di ignorare, un po' per convenienza, un po' per ignoranza, le esperienze degli altri paesi continuando a dibattere e ad argomentare problemi che, nel resto del mondo, sono stati risolti da tempo.