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Con vittoria di Mamdani a primarie New York, il Partito Democratico è davanti a un bivio

Le amministrative si giocano fra il neovincitore, il sindaco attuale Adams, il repubblicano Sliwa e forse Cuomo

Massimo JausbyMassimo Jaus
Con vittoria di Mamdani a primarie New York, il Partito Democratico è davanti a un bivio

L'attuale sindaco di New York Eric Adams (sinistra) e il neovincitore per i democratici Zohran Mamdani (destra) /ANSA

Time: 4 mins read

La vittoria a sorpresa di Zohran Mamdani alle primarie democratiche per il sindaco di New York ha lasciato spiazzata la tradizionale leadership del Partito Democratico, che ora sembra incerta su come reagire.

Mamdani, giovane consigliere municipale, socialista democratico sostenuto da Alexandria Ocasio-Cortez e Bernie Sanders, ha scosso l’establishment e aperto una riflessione urgente sulla direzione futura del partito. In molti quartieri, come Crown Heights e Williamsburg, l’astensione è stata evidente. A fronte di quasi 3 milioni e mezzo di elettori registrati a New York City, meno di un milione di persone ha votato in tutti e cinque i borough della città.

Le comunità ebraiche ortodosse di Brooklyn, tradizionalmente conservatrici, hanno disertato in massa le urne. La bassa affluenza non è solo frutto del caldo torrido del giorno delle primarie, ma di una scelta strategica: l’assenza di candidati ritenuti rappresentativi, la sensazione che la vittoria fosse già scritta e l’intenzione di concentrare le forze nel voto di novembre hanno ridotto al minimo la partecipazione.

Queste comunità votano in blocco, spesso sotto la guida dei propri leader religiosi e politici. A meno che non vi sia un candidato con legami chiari con la leadership chassidica, preferiscono usare la propria influenza nelle elezioni generali. Andrew Cuomo, sostenuto da leader ortodossi e grandi finanziatori come Bloomberg e Ackman, era il candidato tiepidamente preferito.

Zohran Mamdani ha vinto con una piattaforma ambiziosa e fuori dagli schemi tradizionali: tassazione dei ricchi, congelamento degli affitti, autobus gratuiti, supermercati comunali e rimozione dell’ICE dalle strutture cittadine. Ha parlato dei problemi quotidiani delle persone: affitti, salari, sanità, istruzione. E lo ha fatto senza rifugiarsi nella retorica astratta contro Trump, ma concentrandosi sul costo della vita e sull’accesso ai servizi fondamentali.

Ora che ha praticamente vinto la nomination democratica per la carica di sindaco, Mamdani si prepara alle elezioni generali contro il sindaco in carica Eric Adams, deciso a difendere la propria posizione. Quest’ultimo ha lanciato il suo tentativo di riconferma con un comizio davanti al Municipio, cercando di dipingersi come indipendente. Lo stesso giorno, ha definito Mamdani un “piazzista venditore di elisir”, promettendo una campagna elettorale serrata e aggressiva.

Nonostante sia reduce da un caso federale archiviato e da sondaggi poco incoraggianti, Adams punta sulla sua capacità di parlare all’elettorato della classe operaia e delle comunità afroamericane. Forte del pulpito istituzionale, di un budget municipale di 115 miliardi di dollari e di una macchina amministrativa imponente, conta di riconquistare terreno tra gli elettori moderati, mentre i grandi donatori stanno valutando come impedirne la sconfitta.

Ma il percorso è accidentato. Mamdani ha superato Cuomo con una coalizione trasversale che include elettori giovani, latini, asiatici e musulmani. I Democratici dominano l’elettorato cittadino e alcuni settori del partito si sono già schierati a suo favore, riducendo i margini di manovra di Adams. Il repubblicano Curtis Sliwa, l’indipendente Jim Walden e lo stesso Cuomo, che nonostante le smentite ancora valuta una candidatura indipendente, complicano ulteriormente la corsa.

La reazione repubblicana resta durissima. Trump ha definito Mamdani “un comunista al 100%” e alcuni influencer vicini alla destra MAGA hanno evocato addirittura l’uso del Communist Control Act per bloccarlo. Tom Homan, lo “zar dei confini”, ha promesso nuove incursioni federali sull’immigrazione a New York. Il clima si è fatto teso, eppure il Partito Democratico continua a mostrare indecisione.

L’assenza di una linea chiara da parte della leadership nazionale rischia di amplificare l’incertezza. Intanto, le grandi aziende e i settori dell’economia cittadina manifestano apertamente preoccupazione per le proposte fiscali e sociali di Mamdani. Secondo Kathryn Wylde della Partnership for New York City, il messaggio è chiaro: “C’è panico tra gli investitori, ma il capitale non può più dettare l’esito delle elezioni”.

Anche una parte della comunità ebraica osserva con attenzione: le posizioni di Mamdani sul conflitto tra Israele e Hamas hanno sollevato timori, mentre circolano voci su possibili convergenze tattiche con Adams. “È ancora presto, ha dichiarato David Greenfield del Met Council, ma il dialogo è già cominciato”.

Lo straordinario successo di Mamdani ha anche riaperto profonde divisioni all’interno del Partito Democratico, già in crisi di identità a sei mesi dall’insediamento di Donald Trump. Il suo trionfo ha infiammato il dibattito tra l’ala progressista e quella più pragmatica del partito: da un lato chi vede in lui una nuova leadership, dall’altro chi teme che il suo profilo, giovane, carismatico, apertamente socialista, difensore dei diritti dei palestinesi, rischi di prestarsi alla narrazione repubblicana che dipinge i Democratici come un partito di estremisti, comunisti e antisemiti.

L’ex segretario al Tesoro Lawrence Summers ha definito “allarmante” la vittoria di Mamdani, mentre Matt Bennett, fondatore del think tank centrista Third Way, ha avvertito: “Le sue idee sono pessime e la sua affiliazione con i Democratici Socialisti d’America è pericolosa. I Repubblicani la stanno già sfruttando e batteranno la grancassa per legare in modo sempre più stretto il partito a Madmani”.

Infatti, i media conservatori si sono immediatamente concentrati su New York, trasformando Mamdani nel volto del nuovo Partito Democratico per colpire i candidati moderati in corsa in Virginia, New Jersey e nei distretti in bilico. Trump lo ha definito “un pazzo comunista al 100%”, mentre influencer MAGA come Nick Sortor e Laura Loomer chiedono che gli venga impedito di diventare sindaco. Anche il gruppo Republicans Against Trumpism ha espresso preoccupazione: “Con Mamdani, i Democratici si sono consegnati ai Repubblicani”.

Mamdani, da parte sua, non si è mai sottratto allo scontro. Ha rivendicato la sua identità di socialista democratico, ha definito Israele colpevole di “genocidio” a Gaza e ha difeso espressioni come “globalizzare l’Intifada”, spiegandole come richieste di diritti umani. Ha anche proposto un’agenda radicale: asili nido gratis, autobus pubblici gratuiti, supermercati comunali e tassazione dei milionari.

Eppure, proprio questo linguaggio e questo programma, applauditi da Sanders e Ocasio-Cortez, sono ciò che mette in crisi i Democratici moderati. Hochul, Schumer e Jeffries hanno elogiato Mamdani dopo la sua vittoria, ma nessuno di loro si è spinto fino ad appoggiarlo apertamente per le elezioni generali.

L’effetto Mamdani è contagioso. A Washington, attivisti progressisti guardano alla sua campagna come un modello. Si fanno i nomi di Janeese Lewis George e Robert White, pronti a sfidare il sindaco centrista Muriel Bowser. Se Mamdani riuscirà a prevalere anche a novembre, la sua vittoria potrebbe aprire una nuova stagione per la sinistra urbana americana.

Il Partito Democratico si trova oggi davanti a un bivio. Continuare a puntare su un equilibrio attendista ormai logoro oppure riconoscere che una nuova generazione di elettori chiede rappresentanza, visione e coraggio. Non basta contrapporsi a Trump sperando che alla fine gli elettori lo rigettino. Serve proporre un’alternativa concreta, credibile e in sintonia con le trasformazioni profonde che attraversano le città americane. Mamdani, nel bene e nel male, ha indicato una strada. Ora tocca al partito decidere se imboccare quella strada o restare fermo, fingendo che nulla sia cambiato.

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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