In vista della scadenza del 9 giugno, quando Donald Trump ha posticipato l’entrata in vigore dei dazi sui prodotti importati dall’Unione Europea, il presidente del Gruppo Esponenti Italiano Mario Calvo Platero ha invitato al Racquet & Tennis Club di Park Avenue l’ex segretario al Commercio della prima Amministrazione Trump, Wilbur Ross.
Ottantasette anni e un curriculum eccezionale, cominciato ad appena 16 anni come chauffeur nel parcheggio di un golf club in New Jersey. Poi all’università scelse Yale “per l’ottimo programma di scrittura creativa, ma nel giro di due settimane ero già indietro – ha raccontato Ross alla platea di imprenditori, diplomatici e giornalisti –. Ho abbandonato il corso e sono sceso giù a Wall Street”.

Anni dopo, a carriera già avviata nell’ambito delle ristrutturazioni di aziende fallite o in procinto di fallimento, arrivò l’incontro con Donald Trump: Ross era stato chiamato per salvare dalla bancarotta i due casinò aperti dal tycoon ad Atlantic City. Da quell’accordo che nacque dopo mesi di trattative, il banchiere imparò due cose: la prima è che Trump non era abituato a ricevere dei no; la seconda: “Gli piace negoziare davanti alla stampa”. “È una persona che ha opinioni molto forti – ha commentato Ross –. Se le argomentazioni che si difendono sono sufficientemente solide, si ricrede”. Per esempio, nel caso dell’accordo di libero scambio con Messico e Canada, quando Ross era segretario al Commercio nel primo mandato di Trump, “gli ho spiegato che era meglio non ritirarsi e che avrebbe potuto usare la minaccia di uscire dal Trattato a suo favore”. E così è stato.

E ancora, un altro aspetto sottolineato da Ross è che “è il suo stile portare qualsiasi cosa al limite”. Un esempio: “Quando i dazi sono arrivati a 150%, non c’era alcun motivo perché la Cina non sarebbe già stata in grado di inviare alcun prodotto. Ma quel numero attira l’attenzione di tutti. Ora il miglior risultato è ricevere un 10%”.
Rispetto alla scadenza del 9 giugno, con estrema lucidità, Ross ha spiegato che a lungo termine non ci sarà una guerra commerciale. “Gli altri Paesi non possono permettersi un aumento dei dazi perché il mercato degli Stati Uniti ricopre una percentuale maggiore nelle loro economie che nelle nostre esportazioni. Questo implica anche che il valore del dollaro imposto su di noi è meno dannoso in realtà di quello imposto su di loro”. Inoltre, ci sono altre variabili da considerare, fra le quali anche il fatto che Trump si ritrovi a negoziare con una persona che rappresenta 27 Paesi che “a loro volta devono approvare un accordo”, nel caso questo ci sia. “Io mi preoccuperei più del fatto che l’Unione Europea si trovi o meno nella posizione di fare delle concessioni”.