A Brooklyn, lontano dai riflettori di Washington e dalle invettive di un’America conservatrice, tredici aspiranti drag performer hanno trasformato un’aula spoglia in un’arena di resistenza. Con parrucche eccentriche e tacchi vertiginosi, sfidano l’onda avversa che ha investito il Paese, portando in scena non solo loro stessi, ma anche il loro manifesto: il queer è un atto politico, e oggi far parte di questo mondo è una forma di perseveranza indispensabile.
Il corso si chiama “Drag Performance: Between & Beyond Gender”, questo programma al Brooklyn Arts Exchange (BAX) ed è organizzato dal Brooklyn Arts Exchange (BAX), L’insegnante Kelindah Bee, è un’artista queer che si esibisce con il nome di Theydy Bedbug. In dodici settimane, Bee come riportato dalla rivista statunitense Rolling Stone ha guidato il suo quinto gruppo di studenti, in un viaggio tra identità, creatività e affermazione. L’obiettivo era quello di esibirsi sul palco del leggendario club House of Yes per una performance finale che è diventata un vero atto di ribellione artistica.
La scuola che dal 9 settembre prevederà lezioni ogni martedì, non è solo un’accademia di trucco e paillettes. Non insegna semplicemente a sincronizzare le labbra o a camminare sui trampoli è uno spazio protetto dove il genere si esplora, gioca, si decostruisce. Alcuni arrivano per riscoprire se stessi dopo anni passati nell’oblio; altri per trovare una nuova sicurezza, o semplicemente per esprimersi oltre i confini normativi.
La “coorte” è composta da persone transgender, non binarie, queer e similari: una comunità in miniatura che riflette le mille sfaccettature della società contemporanea. Il percorso è diventato rifugio e fucina, palestra identitaria e laboratorio politico. A ogni lezione, i frequentatori si esercitano non solo nella performance, ma anche nel coraggio.
Settimana dopo settimana, mentre l’amministrazione repubblicana intensificava gli attacchi ai diritti LGBTQ+ limitando l’assistenza sanitaria per le persone trans, censurando spettacoli drag nei luoghi pubblici, spingendo scuole a misgenderizzare gli studenti, dentro queste mura si respira un clima opposto: ironico, liberatorio, potente.
Bee vede nel drag un superpotere. Ha affermato che per lei è anche un atto spirituale, di trasformazione. Non solo esterna. un atto magico, alchemico, azione pubblica in movimento.
Il suo approccio è radicale: agli iscritti non viene chiesto subito un nome d’arte. Possono esplorare, cambiare pronomi, diventare creature, oggetti, personaggi ibridi. Tutto è valido, purché autentico. Il risultato si traduce spesso in performance poetiche, spesso surreali. Come quella di Ella Lang, che si è trasformata in una lampada che si accendeva sulle note di Norah Jones. O quella di Padre Fay, che ha strappato di dosso abiti papali mentre twerkava su “Unholy”, rivelando versi modificati della poesia “I Want a President” della poetessa e attivista queer Zoe Leonard.
Lo spettacolo finale, inizialmente cancellato a causa di un focolaio di Covid, è stato recuperato con un colpo di scena al previsto club House of Yes, proprio nei giorni di apertura del Pride Month. Davanti a un pubblico esultante, ogni studente ha portato sul palco la propria verità: comica, sexy, cruda, e spesso dolorosamente reale.
Alla fine della serata, pioggia di banconote sul palco e urla liberatorie. Ma la vera ricompensa è stata collettiva: la sensazione di aver resistito. Non solo a Trump, ma a ogni forma di omologazione.