Non c’è una grande insegna di liquidazione, né il clamore delle aperture storiche. La notizia della chiusura di SAS Italian Records è comparsa in un post su Facebook, firmato da un amico di famiglia. Poche righe per dire che dopo quasi sessant’anni il negozio chiuderà.
Aperto nel 1967 da Ciro e Rita Conte, immigrati da Ponza, il negozio ha sempre occupato lo stesso indirizzo: 7113 18th Avenue, nel cuore di Bensonhurst. Il nome, SAS, è l’acronimo dei figli Silvana, Adrianne e Silverio: inciso sull’insegna, è una dichiarazione d’origine più che un marchio commerciale.
Nato come rivendita di dischi e piccoli articoli per la casa, nel tempo si è trasformato in una sorta di bazar italo-americano: CD, DVD, bandiere, articoli da bagno, macchine per la pasta, riviste e giocattoli. Nulla di appariscente, ma ogni oggetto aveva una provenienza precisa, riconoscibile.
Per anni è stato un punto di passaggio quotidiano: c’era chi entrava per un rosario da regalare, chi cercava un film di Totò, chi semplicemente voleva parlare ancora un po’ d’italiano.
Silvana Conte ha portato avanti il negozio fino ad oggi. “Dopo il COVID tutto è cambiato”, ha spiegato in un video pubblicato sulla pagina Once Upon a Time in Brooklyn. “Ma l’ho tenuto aperto perché mia madre continuava a chiamarlo il suo negozio d’oro. Diceva: l’ho creato io. E io cercavo di farla felice”.
Rita, sua madre, è morta a maggio. Con la sua scomparsa, la gestione è passata da scelta personale a questione ereditaria. Silvana ha raccontato che né il fratello né la sorella sono interessati a proseguire. La clientela si è assottigliata insieme alla presenza italiana nel quartiere. “Un tempo ordinavamo cinquanta copie della Settimana Enigmistica e finivano subito. Oggi ne prendo cinque e due restano sullo scaffale. Non era più sostenibile, ma continuavo a farlo per lei”.
Per Silvana, più che un’attività commerciale, è sempre stato un luogo carico di memoria familiare. Un posto legato alla madre, alla storia di casa, ai gesti quotidiani che si ripetevano da decenni. E ora, chi resta, si ritrova a fare i conti con una perdita che non ha il linguaggio dell’economia ma quello del lutto lento. Come scrive una residente su Facebook: “Questa non è solo la fine di un negozio. È la fine di uno degli ultimi posti dove ci si sentiva italiani senza doverlo spiegare”.
Ma non tutti si rassegnano. Silvana stessa ammette di nutrire una remota speranza: “Se arrivasse un angelo, un investitore che volesse finanziare tutto questo, io ci sarei. Ma non è qualcosa che posso decidere da sola”. SAS smette di esistere perché è cambiato il contesto attorno. Intanto la serranda resta alzata, e chi passa può ancora entrare. Può comprare gli ultimi dischi, i DVD, le riviste superstiti. Solo un tempo che finisce, come spesso accade: senza rumore.