Quella che fino a pochi anni fa sembrava una soluzione emergenziale sta rapidamente diventando la nuova normalità urbana: la riconversione degli spazi commerciali inutilizzati in residenze abitative. A New York, la crisi post-pandemica del settore uffici ha accelerato un trend già latente, trasformandolo in un vero e proprio programma strutturale, favorito da nuovi incentivi fiscali e semplificazioni urbanistiche. Ma se da un lato il fenomeno risponde alla domanda crescente di alloggi, dall’altro sta generando una crescente ondata di contenziosi tra proprietari e affittuari commerciali.
Come evidenzia un report scritto da Massimo F. D’ Angelo (partner dello studio legale Blank Rome e co-chair del dipartimento affari immobiliari dello Studio) e da William M. Pekarsky (avvocato associato di Blank Rome), la svolta legislativa è arrivata nella primavera del 2024 con l’introduzione della sezione 467-m della legge fiscale immobiliare dello Stato di New York, nota come “Affordable Housing from Commercial Conversions Act”, che prevede esenzioni fiscali fino a 35 anni per i progetti che includano una quota di alloggi a canone calmierato, manodopera sindacalizzata e conformità a nuovi standard edilizi per il riuso. A questa si è aggiunta, a dicembre, l’iniziativa comunale “City of Yes for Housing Opportunity”, che ha introdotto bonus volumetrici e procedure semplificate per gli edifici costruiti prima del 1990.
Il risultato è un’impennata di progetti, ma anche un aumento delle frizioni con gli affittuari ancora in possesso di contratti attivi, spesso protetti da clausole rigide. La questione si complica ulteriormente con il ricorso crescente al Codice Amministrativo della città di New York, in particolare alla sezione 22-902, che definisce come “molestia” ogni comportamento del proprietario atto a forzare l’abbandono del locale, compresi lavori di ristrutturazione inutili, interruzione dei servizi essenziali o azioni legali ripetute.
Una delle prime pronunce significative in materia è arrivata nel luglio 2024 con il caso 62-64 Third Ave LP v. Elvis Cafe LLC, in cui il giudice ha riconosciuto che, pur in presenza di comportamenti potenzialmente lesivi da parte del proprietario, l’inquilino non può esimersi dal pagamento dei canoni. Il ricorso per molestie, infatti, non sospende il diritto del locatore a ottenere lo sfratto in presenza di morosità.
In parallelo, i proprietari puntano su clausole di demolizione o riconversione, che consentono la risoluzione anticipata del contratto a fronte di un progetto edilizio certificato. Tuttavia, la validità di queste clausole è spesso oggetto di verifica da parte dei tribunali, che ne valutano la chiarezza e l’effettiva intenzione di procedere ai lavori. In mancanza di tali clausole, resta la strada dei buyout, ovvero l’indennizzo economico all’inquilino per la rinuncia anticipata al contratto.
Un ulteriore ostacolo è rappresentato dall’azione nota come “Yellowstone injunction”, che permette all’inquilino di bloccare lo sfratto dimostrando l’intenzione di sanare eventuali inadempienze contrattuali. Anche se non opponibile in presenza di clausole valide di demolizione, questa strategia può ritardare notevolmente i tempi di riconsegna dell’immobile.
In un mercato in cui ogni mese di ritardo può compromettere i margini di redditività, i grandi proprietari stanno correndo ai ripari, rinegoziando i contratti in essere e dotandosi di strumenti legali più flessibili. Ma la certezza giuridica resta una condizione ancora fragile.