Al Met di New York, fino al 2 novembre 2025, è aperta Source Notes, la prima mostra interamente dedicata alla pittura di Lorna Simpson, un’artista che ha sempre saputo muoversi tra i linguaggi senza mai perdere la direzione. Nata a Brooklyn nel 1960, è diventata una delle figure chiave dell’arte americana contemporanea grazie a un uso della fotografia che ha unito ricerca formale, riflessione politica e sensibilità narrativa.
Oggi, a distanza di oltre quarant’anni dai suoi primi lavori, Simpson torna sotto i riflettori con un nuovo mezzo, la pittura, che però non segna una rottura con il passato, ma una sua naturale trasformazione. Nelle sue opere su tela, spesso su superfici come vetroresina o legno, la fotografia è la base da cui tutto parte. Ma poi arriva l’inchiostro, l’acrilico, le lavature liquide che coprono e scoprono. E l’immagine diventa qualcos’altro: una presenza incerta, un ricordo interrotto, un sogno che si sta per dimenticare.

In Night Fall, una figura femminile sembra affiorare da un blu profondo che non permette mai di vederla davvero, ma nemmeno di dimenticarla. In Three Figures, invece, una scena di protesta degli anni Sessanta viene smontata, scurita, frammentata. Non è più documento, è ferita. E come tutte le ferite, si legge più con il corpo che con gli occhi.
La serie Special Characters lavora sull’identità e sull’immaginario della bellezza nera, prendendo immagini da vecchie pubblicità e ricostruendo volti che non esistono, ma che sembrano comunque familiari. Qui, come in tutta la mostra, l’effetto è straniante ma mai freddo.
In mostra ci sono anche i lavori più recenti, in cui l’artista si lancia nel cosmo. Letteralmente. Meteoriti sospesi, paesaggi artici, cieli profondi. In did time elapse (2024), un meteorite galleggia nello spazio, in un silenzio denso. Sembra il contrario di una fotografia: nessun volto, nessuna scena. Eppure è una delle opere più “piene” dell’esposizione.

Il titolo torna in mente: Source Notes. Perché ogni immagine, anche la più astratta, ha un’origine. La curatela di Lauren Rosati accompagna questo percorso con equilibrio. I materiali informativi non cercano di spiegare troppo. Offrono il contesto, ma lasciano che siano le opere a parlare. Questo approccio rispetta il modo di lavorare di Simpson, che non impone mai una lettura, ma costruisce immagini che chiedono tempo e attenzione.