In un piccolo angolo di Chinatown si nasconde una chicca italiana. Dopo quasi quindici anni di lavoro, Federico Vezzaro, designer padovano, sbarca a New York con una mostra di rust art, visitabile fino al 5 aprile alla Temple Gallery 108 Madison Street. Le sue opere nascono, infatti, dall’ossidazione del ferro. “Per me – ha spiegato l’artista – si tratta di sradicare questo atteggiamento, questa ossessione, di migliorare le cose e di trovare l’energia che hanno dentro [gli elementi]. E l’ossidazione diventa il medium perfetto per far vedere la potenza intrinseca della materia”.

Questo lavoro, personale e professionale, è cominciato nel 2008. Nel suo atelier e laboratorio a Padova, ha iniziato a sperimentare nuove tecniche di lavorazione del ferro, “perché dentro di sé ha la vita”. Dall’ambiente della bioedilizia, Vezzaro si è evoluto ad artista, ora designer e vetrinista. “Sono percorsi diversi, ma molto simili, che si ritrovano tutti sotto la necessità di capire cosa la natura ci può insegnare e come valorizzarne l’equilibrio e l’armonia. In questo caso il ferro ci dice che dentro ha già i colori, che ha già un’immagine dentro di sé. Bisogna solo tirarla fuori. A livello introspettivo, la lastra ci dice che dentro di noi abbiamo delle potenzialità”.
Beyond the Surface è il secondo capitolo newyorkese per Vezzaro. A novembre aveva conquistato Brooklyn con Carminium. Questa volta è tornato in occasione dell’Artexpo 2025, al Pier 36, l’appuntamento annuale per gli appassionati di arte contemporanea. “Avevo bisogno di un posto vicino alla fiera, dove espongono solo due opere – ha spiegato Vezzaro –, così da incuriosire i clienti a uscire, venirmi a trovare e conoscere altri lavori senza allontanarsi troppo”.

In mostra ci sono quadri figurativi e astratti. “Il tema – ha dichiarato Vezzaro – è capire cos’è la vibrazione o la natura, qualcosa di intrinseco, innato. L’obiettivo è trascurare la superficialità, quello che va di moda, per andare alla radice proprio perché la vibrazione è alla base del colore. In un’opera fatta di ossidazione, il colore che vediamo prima di diventare ocra è una vibrazione che rimbalza la luce sotto forma di ocra. Ed è la materia che reagisce: con diverse tecniche faccio sì che la materia generi il colore, l’opera, capovolgendo il paradigma dell’artista che crea. Davanti a un lavoro di questo tipo, io mi pongo con un desiderio, ma è la materia che risponde e io devo arrendermi a quello che viene generato, perché è spontaneo. Questa resa crea resilienza: ci aiuta a liberarci, a lasciarci andare, a vivere il mondo da un’altra prospettiva”.