“Fa piacere essere qui, tra colleghi e amici, con un buon bicchiere di vino in mano. Anche se è così strano il motivo: parlare di un futuro incerto e potenzialmente buio per la filiera vitivinicola italiana”.
Con questa frase uno degli ospiti presenti ha colto perfettamente l’atmosfera che si è respirata ieri all’evento “Vino italiano e sfide globali”, tenutosi nella sala privata del ristorante Fasano su Park Avenue a Manhattan.
Su iniziativa di Fiere Italiane, gli operatori di settore – importatori, distributori e produttori – hanno incontrato i giornalisti per analizzare insieme le sfide legate ai dazi annunciati dal presidente americano Donald Trump. A preoccupare ovviamente sono soprattutto le tariffe del 200% su vini e champagne europei. Come tutti i relatori hanno evidenziato si tratterebbe di un colpo durissimo per la nostra filiera, visto che gli Stati Uniti rappresentano un mercato fondamentale: solo nel 2024 sono stati esportati circa 1.9 miliardi di euro di vino.

Federico Zanella, Ceo di Vias Import Ltd, ha messo in luce come i danni colpirebbero prima di tutto la struttura della distribuzione. “Considero quella del 10/15% una percentuale assorbibile dalla supply chain, pur con tagli importanti ai margini degli operatori italiani, come americani. Il 25%, invece, è da considerarsi il limite massimo, prima di arrivare a situazioni tali che richiedano il taglio di posti di lavoro”. Rispondendo a una domanda della moderatrice, la giornalista Valeria Robecco, Zanella ha quindi spiegato che “i vini che costano di meno, come il pinot grigio o il prosecco, che fino ad oggi hanno contribuito alla crescita del volume totale dell’esportazione italiana, andrebbero a soffrire di più. Veniamo da una situazione di per se’ non facile. Per il secondo anno di fila, il vino italiano ha visto un calo. In America è il fattore prosecco che lo tiene a galla”. E proprio sulle bollicine una battuta che nasconde un reale smarrimento: “C’è da evitare che il prosecco diventi un bene di lusso”.
Una cosa è certa senza il “sistema Italia”, senza l’intervento coordinato di tutte le istituzioni, questa è una battaglia che nessuno può vincere da solo. Il successo della prima edizione di Vinitaly USA fa sicuramente ben sperare, se si pensa che in pochissimo tempo è riuscita a diventare la più grande fiera del vino negli Stati Uniti. Un successo corale. “Abbiamo l’Ice, le Camere di Commercio, l’ente Fiere di Verona. L’anno scorso c’erano sette regioni, quest’anno contiamo di averne quindici. Stiamo iniziando a lavorare con i consorzi. L’idea è: mettiamoci insieme, per mostrare quanto è bella e quanto è forte l’Italia”, ha spiegato l’organizzatore dell’incontro Maurizio Muzzetta. Il presidente di Fiere Italiane si è poi soffermato sulla necessità di trovare nuove strategie per affrontare questa stagione incerta, soprattutto sulla necessità di guardare all’America in senso più ampio, andando oltre i mercati di New York, California e Florida. “Abbiamo trascurato le aree secondarie. Chicago è una di queste”. Un buco che proprio Vinitaly.USA, con la sua seconda edizione il prossimo 5 e 6 ottobre, sta cercando di colmare. Questa manifestazione è l’esempio di come la sinergia dei vari attori in gioco porti risultati. “Nel 2024, abbiamo portato 220 aziende e 1500 buyers. Siamo gli unici in grado di fare un evento unicamente con i vini della propria nazione”.
Il governo sta lavorando senza sosta per evitare lo scenario dei dazi, pur non sapendo ancora come e quando verranno applicati. Però il clima di incertezza, come per ogni altro settore minacciato, sta già causando danni. “Questo caos sta rendendo il mio lavoro molto difficile. Due viaggi di mercato, ad esempio, sono stati posticipati per questa ragione”, ha detto la panelist Natalie Oliveros, titolare della cantina La Fiorita a Montalcino.
Se tutti hanno fiducia nelle istituzioni, è necessario agire presto, trovare un modo per velocizzare i tempi lunghi della politica. “Se nei prossimi mesi usciremo dalle catene distributive perché il nostro prezzo sarà caro e il governo dovesse intervenire solo in estate o in autunno, ci troveremo davanti a un grande problema – ha spiegato Muzzetta – Per recuperare le quote di mercato perse infatti potrebbero essere necessari degli anni e molte piccole aziende potrebbero non essere in grado di sopravvivere”.
Al panel ha partecipato anche Gianmaria Rizzo, CEO di More Than Grapes, grande conoscitore del Midwest americano. “L’America non potrebbe sostenere un’eventuale perdita di noi italiani”, ha detto, specificando, però, che molti competitor potrebbero beneficiare dei dazi agli europei. “Io mi trovo nel Midwest, luoghi in cui c’è molta più cultura dei vini americani, sudamericani, sudafricani e australiani. Tutti potrebbero beneficiare di una tariffa, non solo del 200% ma anche del 100 o del 50. Sarebbe un vantaggio competitivo rischioso per il prodotto Made in Italy- ha spiegato- se si alzano i prezzi a un punto tale in cui non si può più essere competitivi, non ci sarebbe più nulla da fare”. E ha continuato: “È quindi necessario un aiuto del sistema Italia, indiretto magari nei nostri confronti, ma diretto verso le cantine”.