Camminando per Little Italy, inglobata dentro Chinatown, è impossibile non notare il palazzo dell’Italian American Museum, all’angolo fra Mulberry Street e Grand Street. Disegnato dall’architetto Jonathan Scelsa, è chiamato “il piccolo Guggenheim” per le curvature arancioni della facciata che staccano dai mattoni e dalle scale antincendio del resto del quartiere.
“Volevo che lasciasse il segno – ha commentato il presidente Joseph Scelsa. –soprattutto per la comunità italoamericana, soprattutto qui a Downtown. Perché tutti vedono il vecchio all’esterno e, anche dentro al museo ci sarà la storia antica, la tradizione, io voglio che si veda una vita nuova e il contributo che la comunità continua a dare all’America”.

Il museo ha aperto a ottobre 2024 con due mostre temporanee all’ingresso e al primo piano: Verrazzano’s Voyage to America, in onore del 500º anniversario dell’arrivo del marinaio italiano nella Baia di New York, e Sicilian Theater in Little Italy: The Return of the Manteo Puppets con una ventina di burattini originali, prodotti negli anni Venti al civico 106 di Mulberry Street. “La compagnia, originaria della parte orientale della Sicilia – ha spiegato Scelsa –, aveva il proprio teatro e laboratorio. Ogni sera facevano degli spettacoli con queste marionette. In Italia è ancora viva la tradizione, ma qui in America non c’è altro posto che le abbia. Sono tutti pezzi unici”.
Entro la primavera verranno integrate con altre cinque esposizioni permanenti nei due piani sotterranei. Incentrandosi sul XX e sul XXI secolo, saranno interattive, con filmati e proiezioni, pannelli e colonnine touch screen, dove i visitatori potranno approfondire la cultura italoamericana degli Stati Uniti e di New York con immagini delle strade e dei negozi di allora, la vita degli esploratori italiani più e meno noti – “non solo Colombo e Verrazzano” –, gli oggetti dell’epoca, i tratti distintivi delle venti regioni d’Italia, affinché coloro che non hanno la possibilità di viaggiare possano imparare a distinguerle. Non solo le storie positive di Biaggi, Petrosino, Serpico, Giuliani, ma anche i capitoli più neri della mafia italoamericana.

Il materiale non manca: il caveau della banca degli Stabile, la prima medaglia d’onore del Congresso, la statua di Maria Pulsone per ricordare tutte le donne italoamericane morte nella fabbrica Triangle. Scelsa ha contato “tre magazzini pieni di cose. Ci sarà sempre bisogno di altro spazio, ma almeno abbiamo una casa. Abbiamo prestato anche tanti oggetti ad altri musei e gallerie. Per esempio, poco tempo fa, il Museum of the City of New York aveva organizzato una mostra sulle banche newyorkesi e non sapevano che qui, nel Lower East Side, in ogni blocco c’era una banca diversa per ogni regione italiana, che forniva biglietti di rientro, ma soprattutto dove si parlavano i dialetti degli immigrati”.
In questo momento, le mostre dipendono dalla presenza di Scelsa, che accompagna gli ospiti passo per passo spiegando le esposizioni e il futuro del museo, con un’infinità di aneddoti. Il presidente ha speso la sua vita a diffondere la cultura italoamericana e la prima volta che ha pensato alla possibilità di avere uno spazio da dedicarle è stato nel 1999, quando era direttore del Calandra Institute alla CUNY. “Capii che il miglior modo per raggiungere le persone – ha raccontato – non era necessariamente quello delle università o delle aule scolastiche, perché era un miracolo se in classe si presentavano 12 studenti. Con una sola esposizione al New York Historical Society, registrai 40.000 visitatori”.
Frequentava gli ambienti universitari da almeno 15 anni: “Sono stato eletto vicepresidente del Senato accademico nel 1978 e fino ad allora non c’erano mai stati corsi in italiano alla CUNY. Negli anni Ottanta, diventai direttore del primo Italian American Institute, che venne intitolato a John Calandra quando morì nel 1986. Rimasi in università fino all’inizio degli anni Novanta”.

Dopo il successo al New York Historical Society, nel 2001, la SUNY lo incaricò di aprire il primo museo della cultura italoamericana negli Stati Uniti, “ma non avevamo ancora una sede e io sfruttavo lo spazio del Calandra Institute”. Solo nel 2008 è riuscito a convincere il suo Consiglio di amministrazione a investire i primi soldi per comprare lo stabile dove si trova oggi l’Italian American Museum. Tuttavia, nel 2009 scoppiò la crisi e fino al 2015 fu impossibile parlare del progetto.
Sono partiti comprando l’edificio da privati, mentre l’allestimento è stato realizzato con finanziamenti statali. “E abbiamo ricevuto anche denaro federale, da parte del deputato della Camera Jerry Nadler – ha spiegato Scelsa. – Non è facile lavorare con i bandi pubblici perché c’è tanta burocrazia. Ma se l’attività ha successo, i soldi continueranno ad arrivare. L’intero progetto costa circa 7 milioni di dollari, due dei quali coprono solo i due piani sotterranei”.
“Vorrei che il museo – ha concluso Scelsa – aiutasse le persone ad apprezzare non solo gli italoamericani, ma anche tutti i contributi e influenze che abbiamo dato in passato e che continuiamo a dare oggi”.