Alla sbarra da alcune settimane per il “processo del silenzio” e condannato per tutti i 34 capi di accusa, Donald Trump non pare aver scosso le granitiche certezze dei suoi sostenitori.

puntuali come sempre, erano in molti ieri davanti alla Trump Tower sulla Fifth Avenue, a gridare il nome del magnate, sventolare bandiere, incitare mentre all’interno del palazzo, “The Donald” teneva un discorso per ribadire la sua innocenza.
L’atrio del lussuoso grattacielo era stato tirato a lucido. Gremito di giornalisti e membri dello staff repubblicano e inavvicinabile da chiunque non fosse autorizzato. Ma la solidarieta sui mariapiedi deli suoi fan era palpabile anche a distanza.
Un cordone di sicurezza delimitava due schieramenti. Da una parte, gli oppositori, rleegati in un angolo, pochi e non organizzati, erano le stesse facce che giovedì subito dopo la sentenza avevano transitato per ore di fronte al Palazzo di Giustizia di Lower Manhattan. Dall’altra, parte della strada di fronte alla torre di cristallo nero c’erano i seguaci del tycoon, compatti e solidali, muniti di enormi vessilli, cappelli, striscioni e con l’identico fervore che li muove a ogni comizio

Ad accompagnare musicalmente l’arrivo di Trump al podio l’iconico motivo del gruppo gay Village People scelto come colonna sonora – anche al rally a Crotona Park, nel South Bronx la settimana scorsa. La stessa musica e lo stesso ritmo a scandire l’entrata del tycoon. Tutti fra i partecipanti maga cantavano le loro canzoni, sebbene siano proprio le politiche trumpiane ad aver preso di mira la comunità LBGTQ+.
Il clima di festa viene brevemente interrotto da tensioni. Alcuni passanti iniziano a discutere con i sostenitori di “The Donald”. Una parola di troppo e il clima incandescente si infiamma. Devono intervenire gli agenti per riportare la situazione alla normalità.

Fra gli antagonisti, c’è Debby che avevamo già incontrato ieri alla chiusura del processo. Tiene in mano con orgoglio un cartello con scritto sopra “Guilty”: “Ieri è stato il giorno più bello della mia vita. Non ci credo ancora: finalmente è stata fatta giustizia”.
Le fa eco Proud, una ragazza afro-americana, con ai piedi delle scarpe rosse, simbolo in molti Paesi delle battaglie di genere, contro i maltrattamenti e i femminicidi. “Grazie a Dio è stato fermato, Trump ha sempre considerato noi donne degli oggetti, basti pensare alle politiche sull’aborto”.
La distanza fra le due fazioni è incolmabile. Si scambiano insulti e provocazioni. I sostenitori più colorati, rumorosi, catturano l’attenzione anche dei media ai quali non si sottraggono.
Steve, un arzillo 60enne, ammette di essere venuto solo per godersi lo spettacolo. “Non mi interessa la politica, ma Trump è un personaggio, è un esempio da seguire, un uomo di successo. Riesce a ribaltare a suo favore anche gli eventi più sfavorevoli”.
