L’atmosfera è quella delle grandi occasioni. L’East e il West Side di Manhattan, come anche i quartieri più a Sud di Brooklyn, si preparano a salire fino al South Bronx. La popolazione della metro si fa via via sempre più nera. Gli unici bianchi a scendere alla fermata 174 St., dove si incrociano la 5 verde e la 2 rossa, sono i giornalisti e i MAGA.
L’ex presidente Donald Trump ha organizzato uno storico comizio a Crotona Park per conquistarsi la sua porzione di elettorato latinoamericana. L’area, infatti, la più povera di New York, è per il 64% ispanica e il restante 31% nero. Era dal 2016 che non parlava ai suoi sostenitori newyorkesi e ha deciso di farlo proprio in una delle roccaforti democratiche.
A metà pomeriggio, solo avvicinandosi al parco si vedono i primi cartelloni, slogan, gadget. Per il resto la vita di quartiere continuava come se nulla fosse. Gli stand, tappezzati di magliette, cappellini e spillette, erano proprio solo all’entrata di Crotona Park.

“Seguo Trump dal 2016, o forse è lui che segue me – racconta Marvin ridendo, – dato che lui si presenta ai comizi dopo di me. Allora avevo cominciato a vendere i suoi gadget per fare soldi, per viaggiare, perché mi piaceva la sua filosofia come parte del popolo che entra in politica, e mi sono fatto diversi eventi. Quello che mi ha fruttato di più è stato in Montana nel 2017: la gente era impazzita”. Intanto, smista le magliette del suo stand. L’accento del Sud più marcato del previsto. “Alla fine Trump è uno di noi: chi non è stato indagato, accusato, in carcere almeno una volta? Ma quello che gli stanno facendo non è giusto per le tempistiche: i processi dovrebbero riprendere a fine campagna elettorale”.
Nonostante le quasi due ore di anticipo, rispetto all’inizio del comizio, l’area è già stata transennata e gremita di gente. La pioggia della mattina ha lasciato dietro di sé una cappa umida che rende irrespirabile l’aria, già intrisa di testosterone.



Migliaia di uomini bianchi si caricano vicendevolmente. A confronto, ci sono poche donne – quelle che ci sono fanno compagnia ai mariti e si fanno selfie come se fossero in luna di miele – e pochi black and Latinos. A sorpresa, tanti gli ebrei ortodossi. Tutti, comunque, sono coperti di gadget e ammassati in coda: un oceano di teste fasciate da cappellini rossi che riportano lo slogan “Make America Great Again”. Ci vorrà almeno un’ora prima di passare sotto i metal detector e accedere al podio.
Sembra l’attesa di un concerto, più che l’inizio di un comizio. Il caldo è torrido, la security distribuisce bottiglie d’acqua – rigorosamente senza tappo – ma la tensione, l’energia che vibra travolgono al grido “Long Live USA”.
“Abbiamo preso un aereo per arrivare,” ha detto Eric che, insieme ai suoi tre amici, è salito dal South Carolina. Si lasciano abbracciare da una bandiera con sopra scritto “Fuck Biden”. “Non potevamo mancare. È un’occasione importante. Io sono originario del Bronx, ma abito lontano da tanto tempo. Perché sono venuto? Trump è il mio presidente, anzi, guardate, è il presidente di tutti. Ci sono asiatici, ispanici, neri. Nessuno più di lui riesce a unire la gente”.


Berth invece rimane seduta sull’erba in attesa che Trump esca a parlare. Viene da Long Island e dice che “è una grande emozione” rivedere il tycoon, dopo l’ultimo rally a New York. “Sono venuta per dargli sostegno. È un momento complicato per lui: deve sentire che noi ci siamo”.
Ad accogliere il pubblico, le canzoni che si susseguono sono un mix fra anni ‘70, rock puro e country. Ironica la scelta di YMCA e Macho Man, due tracce disco famosissime del gruppo Village People, icona gay. I presenti sono euforici.
L’attesa si fa frenesia, i We want Trump sono sempre più insistenti, gli applausi diventano scroscianti. Quando anche l’ultimo degli interlocutori che lo introduce abbandona il palco, i telefoni si sollevano per catturare il “momento”. E Trump esce sul podio, saluta, ringrazia e appare quasi stupito nel vedere tanta folla – era stato dato un permesso per 3.500 persone. È elegantissimo in un completo blu notte con l’immancabile cravatta rossa. Le televisioni lo ingigantiscono, ma è umano e appare sereno in volto.

Un’ora e mezza di discorso, interrotta solo dallo svenimento di una persona. Altrimenti Trump avrebbe proseguito. Il suo monologo è stato scandito da una serie di cori, canti e applausi ogni qualvolta l’ex presidente si è scagliato contro l’amministrazione Biden, toccando temi come l’immigrazione, il muro al confine con il Messico, il rapporto con le altre potenze mondiali, con Vladimir Putin e Xi Jinping, la gestione della criminalità e di una città come New York, roccaforte dei democratici dal 1988. Si è presentato come il miglior candidato per gli elettori neri e ispanici, che “stanno perdendo il lavoro, la casa, con questi prezzi così alti. Che noi torneremo ad abbassare”.

Il comizio si conclude con il solito incitamento: “Make New York great again, Make America great again”. E di nuovo la fiumana di persone si riversa chi verso la stazione 174 St., chi verso casa propria. Questa volta senza vergogna o paura i trumpiani sfilano con i cartelloni, i cappellini e le magliette addosso, incitandosi fra di loro con i cori. Lontane sono le contro-proteste dei democratici.



