La settimana delle lauree è finita, ma la situazione alla Columbia University non sembra essersi calmata. Anzi, secondo un’indiscrezione del Washington Post, un gruppo di influenti dirigenti di aziende americane avrebbe fatto pressioni sul sindaco di New York Eric Adams perché disperdesse con la forza gli studenti filo-palestinesi che si erano accampati nel campus. E il board della Facoltà di Arts and Science avrebbe votato la sfiducia alla presidente dell’università, Minouche Shafik.
Fra le centinaia di imprenditori e magnati che avrebbero partecipato a queste conversazioni, registrate da un gruppo Whatsapp, chiamato “Eventi Attuali di Israele”, ora cancellato, figurano l’ex amministratore delegato di Starbucks, Howard Schultz; il fondatore e amministratore delegato di Dell, Michael Dell; il miliardario degli hedge fund, Bill Ackman; e il fondatore di Thrive Capital, Joshua Kushner. Più di una dozzina di questi compare sulla lista annuale di miliardari stilata da Forbes. La chat sarebbe stata iniziata dal miliardario immobiliare Barry Sternlicht, che non ci è mai entrato veramente, poco dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Era una lobby: attraverso il denaro e le conoscenze, avrebbero influenzato il ruolo degli Stati Uniti sulla guerra a Gaza e anche il tipo di informazioni da diffondere.

Il sindaco Adams è sempre stato favorevole a questo tipo di influenze. Appena i primi manifestanti hanno cominciato ad accamparsi all’interno del campus, sul gruppo si sono espressi in diversi. Ci sarebbe stata una prima videochiamata con lui su Zoom il 26 aprile, una settimana dopo che la polizia era intervenuta per la prima volta e aveva arrestato un centinaio di persone. Una volta finita la chiamata sarebbe stato condiviso nel gruppo Whatsapp il link di ActBlue per le donazioni della campagna elettorale di Adams del 2025.
C’è chi ha ammesso di aver investito più di duemila dollari in donazioni politiche – per il momento l’unica certa è quella dell’imprenditore Len Blavatnik, ma bisognerà aspettare fino a luglio quando verranno pubblicati i dati della campagna elettorale; chi ha mandato una mail al consiglio di amministrazione della Columbia “mettendosi a completa disposizione” per smantellare l’accampamento; chi si era proposto di assumere investigatori privati a sostegno degli agenti – la NYPD ha commentato al Washington Post che non sono stati impiegati investigatori per gestire le proteste.
In merito a queste accuse, il vicesindaco Fabien Levy ha risposto che gli interventi della polizia nel campus della Columbia sono stati attivati sotto richiesta specifica dell’università. “Qualsiasi insinuazione che altre opinioni siano state prese in considerazione nel processo decisionale è completamente falsa”, ha dichiarato Levy. “Sostenere che i donatori ebrei abbiano complottato in segreto per influenzare le operazioni del governo è un tropo antisemita fin troppo familiare che il Washington Post dovrebbe vergognarsi di avanzare e addirittura di normalizzare sulla stampa”.

All’interno del campus, la situazione non migliora.
Su 900 membri in totale, 709 del board della Facoltà di Arts and Science hanno partecipato alla votazione e il 65% di questi ha approvato la mozione di sfiducia nei confronti di Shafik. Il 29% si è espresso contrario e il 6% si è astenuto. “La discussione in Facoltà che ha preceduto il voto è stata concreta e civile – ha scritto in una mail la presidente del board, Amy Hungerford. – Ha rispecchiato una serie di punti di vista. Abbiamo apprezzato la collegialità e la professionalità con cui i nostri docenti si sono impegnati in queste discussioni”. E ci ha tenuto a specificare che: “Se risoluzioni come questa sono un’espressione della volontà e dell’opinione di una maggioranza votante della Facoltà di Arts and Science, esse non impegnano l’università, o un qualsiasi altro organismo, ad agire”. Il corpo docente non ha l’autorità di rimuovere o nominare un presidente, compito che spetta, invece, allo stesso o al consiglio di amministrazione della Columbia. Questa mozione conferma, ancora una volta, lo stato in bilico di Shafik.
Secondo quanto riportato dal Columbia Spectator, il giornale online dell’università, la presidente continuerebbe a “consultare regolarmente i membri delle society studentesche, compresi i docenti, l’amministrazione e i fiduciari, così come con i leader dello Stato, della città e della comunità”.
La presidente Shafik ha mancato un grande appuntamento. Nonostante il commencement nel prato del campus era stato cancellato dal consiglio di amministrazione, ci sono state comunque delle cerimonie a porte chiuse per celebrare le lauree. Anche se era nella lista degli speaker, Shafik non si è presentata. Gli speech degli ospiti hanno ricordato gli ultimi quattro anni particolarmente problematici, dalla pandemia all’ultimo mese di protesta, sottolineando l’importanza della libertà di informazione ed espressione.
Non ci sono state interruzioni, ma molti studenti hanno sfoggiato sopra alla toga celeste tradizionale la kefiah o hanno mostrato cartelli e slogan a sostegno delle proteste.
Contemporaneamente, circa 550 studenti e professori si sono riuniti in un’altra cerimonia alternativa, con attivisti e scrittori filo-palestinesi, “per celebrare liberamente i loro risultati”.