L’onda lunga della crisi in Medio Oriente arriva nelle università americane. Le proteste pro Palestina ormai divampano ovunque, con dibattiti accesi anche fra i docenti per le misure adottate nel volerle reprimere.
Gli studenti sgomberati, arrestati e successivamente rilasciati sono già centinaia. Numerosi anche gli insegnanti che si schierano contro le autorità universitarie. Un gruppo di professori della Columbia University, di New York, dove si sono innescate le prime schermaglie ha ritirato il sostegno alla preside dell’ateneo, Nemat Minouche Shafik, che aveva autorizzato il Dipartimento di Polizia cittadino a sgomberare l’accampamento allestito dagli studenti nell’area del South Lawn of Morningside.
Negli Stati Uniti in base al Primo Emendamento, che garantisce a ciascuno la libertà di esprimersi liberamente, di riunirsi pacificamente, per esporre le proprie posizioni fin dagli anni ’60 le lotte per i diritti, la pace, il clima si sono intensificate e talvolta hanno cambiato le sorti dell’umanità.
Nel 1976 migliaia di studenti decidono di opporsi al regime sudafricano dell’apartheid e intentano azioni di rivolta verso le università che fanno vi fanno affari. Vogliono che le loro ricchissime scuole si disfino rapidamente delle azioni possedute nel paese e in tutti quelli che appoggiano la segregazione razziale.
Nel 1986 settantotto senatori su novantanove si esprimono a favore del Comprehensive Anti-Apartheid Act, da quel momento in poi disinvestire nello stato africano non sarà solo una scelta possibile, ma un obbligo.
La tradizione delle proteste del disinvestimento prosegue negli anni. Gli studenti scendono in campo per i diritti umani, contro il consumismo, ma anche per chiedere regolamentazioni sul clima e fermare i finanziamenti a paesi che producono petrolio o carbone. L’esempio americano dilaga e fa da traino a altri paesi come Gran Bretagna Canada e Europa.

Mentre il “Gaza Solidarity Encampment” alla Columbia entra nel suo quinto giorno, in segno di solidarietà all’accampamento, studenti di oltre una dozzina di università del paese e del mondo, in queste ore si uniscono alla pacifica mobilitazione.
Le contestazioni spaziano dagli scioperi alle marce, ai presidi. In un post apparso su Instagram, l’ufficio centrale di Students for Justice in Palestine, un’organizzazione studentesca pro palestinese che si trova negli Stati Uniti, Canada e Nuova Zelanda, ha invitato tutte le sezioni a seguire l’esempio della Columbia SJP e a fare pressione sulle loro amministrazioni affinché disinvestano dallo stato ebraico.
“Le nostre università hanno scelto il profitto e il prestigio piuttosto che la vita del popolo palestinese e la volontà dei suoi studenti”, si legge nel messaggio, “la vile testimonianza del presidente Minouche Shafik al Congresso annuncia uno sfortunato cambiamento: gli amministratori universitari hanno capitolato alle pressioni della lobby sionista e della destra alleata, svendendo il Movimento Studentesco per la Liberazione Palestinese per salvare la faccia agli occhi dello Stato”.
“Sulle orme dei nostri compagni chiediamo a tutti i SJP in tutta la nazione di sequestrare l’università e costringere l’amministrazione a disinvestire, per il popolo di Gaza”.
Va sottolineato comunque che a manifestare al momento sono soltanto poche centinaia di persone.
All’Università di Yale, in Connecticut, dopo l’irruzione della polizia a Beinecke Plaza,nel cuore del campus una quarantina di persone sono state fermate e arrestate. I circa trecento studenti riuniti avevano ignorato gli avvertimenti degli agenti arrivati prima di mezzanotte e questa mattina all’alba per aver allestito una tendopoli.

Mentre al campus della Carolina del Nord a Chapel Hill, dopo che SJP ha chiesto la loro adesione, gli studenti hanno iniziato a accamparsi di fronte all’edificio, a portare sedie, coperte, acqua, in previsione di una lunga permanenza. All’intervento della polizia che esigeva lo sgombero immediato hanno deciso di marciare con le tende in mano per continuare a “occupare spazio davanti all’edificio amministrativo”.
Anche a Boston, in Massachusetts, una protesta di emergenza è stata organizzata dalla Boston University Students for Justice in Palestine, mentre a Harvard il Comitato di Solidarietà per la Palestina ha annunciato l’uscita in massa dei suoi affiliati dalle lezioni “in appoggio ai colleghi di Columbia”.
Proteste sono state programmate anche alla Ohio State University e alla University of South Carolina dove a una ragazza palestinese era stato impedito dalle autorità universitarie di pronunciare il suo discorso di commiato già programmato.
Le proteste nelle università, critiche verso la posizione degli Stati Uniti, storicamente vicina a Israele, hanno innescato da sempre ricadute nel dibattito politico e nazionale. Le polemiche riguardano soprattutto le difficoltà delle università private a difendere le scelte di tolleranza senza perdere il sostegno dei loro principali finanziatori.
Tutto questo accade quando il Dipartimento dell’istruzione statunitense ha avviato indagini su oltre venti università tra cui: Columbia, Harvard, Cornell, Stanford e University of Pennsylvania, in seguito a alcune denunce per presunti fenomeni di antisemitismo e islamofobia.