Non c’è mai stata interruzione. Solo qualche anno di maggiore calma giusto per un cambio generazionale. Cosa Nostra in America con le sue grandi famiglie mafiose, non solo non era mai morta ma ha sempre mantenuto un legame fortissimo e sempre più sofisticato con l’Italia. E poche ore fa un’azione parallela e coordinata tra Manhattan e la Sicilia ha portato a 17 arresti eccellenti, con 7 a Palermo e 10 negli Stati Uniti.
Un incrocio tra le famiglie di Gambino, Rappa e Badalamenti e i clan di Borgetto che da anni hanno sempre fatto da ponte con la Grande mela senza mai rompere i legami, anche dopo le forti condanne della “Pizza Connection”, quando l’allora procuratore Rudolph Giuliani preparava i capi di accusa come procuratore capo di New York e non finiva come ora sul banco degli imputati come consigliere legale di Donald Trump.
La retata di ieri in Italia e America chiude anni di indagini e ore di sorveglianza e registrazioni telefoniche sulle due sponde dell’Oceano. Ma soprattutto mette in evidenza che erano spesso i “cervelli siciliani” di Borgetto, Partinico e Torretta, con le loro antenne americane fornite dalle giovani generazioni pedate in USA, a indicare e suggerire ai muscolosi cugini d’oltreoceano come gestire le estorsioni a tappeto nel ventunesimo secolo nelle grandi metropoli americane mantenendo un profilo sempre basso, seguendo la filosofia che prevedeva un abbassamento del valore del pizzo, ma l’allargamento di una richiesta a tappeto a ristoratori, negozi e importatori di prodotti alimentari, senza parlare del cemento e delle demolizioni, minacciando, se necessario, anche l’incolumità delle famiglie dei piccoli imprenditori italo-americani che vivevano ancora in Sicilia.
L’operazione condotta tra Cosa Nostra palermitana e quella di Manhattan e Brooklyn, ad opera della polizia italiana e dell’FBI e della New York Police Department, si concentra sul nome di Francesco Rappa, che oggi ha 81 anni ed è tornato lo storico capomafia della famiglia di Borgetto, il vero legame transoceanico con i clan delle grandi famiglie newyorkesi che non smettono comunque di trafficare in droga ed estorsioni, soprattutto edilizie e nel campo delle enormi costruzioni pubbliche e private, controllando ancora il mondo delle forniture di cemento.

Nell’elenco degli indagati ci sono anche Gabriele Gambino, che vive negli Stati Uniti, Giacomo Palazzolo, Giovan Battista Badalamenti, Isacco Urso, Salvatore Prestigiacomo, nipote di Badalamenti, e tra loro anche una donna, Maria Caruso, di 39 anni, moglie di Urso.
Nei capi di imputazione, la procura di Palermo, attraverso la direzione distrettuale antimafia, ravvede i reati di organizzazione mafiosa armata, estorsione e numerosi atti criminali.
Sull’altra sponda, l’FBI ha emesso ieri un comunicato per i suoi dieci arrestati, contro i quali sono stati indicati 16 capi di accusa che vanno dall’associazione a delinquere all’estorsione al riciclaggio di denaro, possesso illegale di armi. Solo uno dei 10 nell’elenco dei fermati non è stato ancora arrestato, ma gli altri rispondono ai nomi di Joseph Lanni, conosciuto come “Joe Brooklyn”, e considerato uno dei capi della Gambino Family, Diego “Danny” Tantillo, Angelo Gradilone chiamato “Fifi” e James La Forte, considerato un soldato della Gambino, Francesco Vicari “Uncle Ciccio”, Salvatore di Lorenzo, Robert Brooke, Kyle Johnson chiamato “Twin” e Vincent Vincent Minsquero, conosciuto anche come “Vinny Slick”, tutti considerati associati del ramo americano del Clan Gambino e coinvolti nel ricchissimo business delle demolizioni, del trasporto dei rifiuti e del cemento, con l’intento di ottenere il monopolio per tutta l’area di New York, anche al prezzo di pesanti e violente estorsioni accompagnate da incendi, pestaggi e frodi, compresi i ricatti e il controllo di organizzazioni sindacali corrotte e lo sfruttamento di lavoratori e immigrati clandestini.
In un paio di perquisizioni inoltre, l’FBI ha trovato veri e propri arsenali nelle case di due degli arrestati.