La maxi-stretta imposta dalla città di New York contro Airbnb non solo ha “perfettamente senso” ma risponde anche a un “problema fondamentale” della Grande Mela – quello della proliferazione incontrollata degli affitti brevi.
A scriverlo non è un’attivista per la casa bensì la giudice statale newyorkese Arlene Bluth, che martedì ha respinto due cause intentate rispettivamente dal gigante della sharing economy e da tre host per contestare le severissime regole che, a partire da settembre, rischiano di rendere illegali decine di migliaia di proprietà in affitto a breve termine nei cinque boroughs.
La contestata misura, nota come “legge locale 18“, prevede infatti che i newyorkesi che vogliano affittare una stanza o un appartamento debbano prima registrarsi presso l’Ufficio del Sindaco di New York per l’applicazione delle leggi speciali (OSE) e attestare la conformità a quello che Airbnb ha polemicamente definito “il labirinto di regolamenti” che disciplina il settore.
Nello specifico, secondo le attuali norme cittadine, i proprietari di casa (ma anche i locatari) possono mettere in affitto una stanza o un intero appartamento per una durata inferiore a 30 giorni solo se anche loro, oltre agli ospiti, siano fisicamente presenti nella struttura per tutta la durata del soggiorno. La nuova legge vieterebbe in sostanza di pubblicare annunci prima di aver ottenuto il lasciapassare delle autorità. Per chi non rispetta il divieto, è prevista una sanzione civile fino a 5.000 dollari per ciascuna violazione.

Sin da subito l’azienda ha alzato gli scudi contro la stretta, sostenendo che essa introduca un “divieto di fatto” sugli affitti brevi in città, mettendo a repentaglio il 95% degli 85 milioni di dollari di ricavi annuali di Airbnb nella Grande Mela. Le statistiche consegnano invero un quadro leggermente meno allarmista, ma comunque significativo: le nuove regole metterebbero fuori legge un quarto delle circa 40.000 proprietà attualmente disponibili sulla piattaforma.
Theo Yedinsky, direttore delle politiche globali di Airbnb, ha affermato che i limiti imposti da City Hall “sono un colpo alla sua economia turistica” e alle persone che integrano il loro reddito affittando stanze a turisti e studenti.
La giudice Bluth, tuttavia, ha ritenuto le affermazioni della piattaforma “del tutto speculative”. “È chiaro che [i funzionari comunali] hanno identificato un problema importante: la continua prevalenza di affitti a breve termine illegali”, ha dichiarato nella sua decisione. Pur riconoscendo il “ritmo glaciale” con cui la città sta esaminando le richieste di locatari e proprietari, la magistrata ha rimproverato ad Airbnb di non aver adeguatamente informato gli host sui loro obblighi imminenti – dato che la legge entrerà definitivamente in vigore il 5 settembre.
Una vittoria per City Hall ma anche per gli attivisti per la casa, che da tempo sostengono che l’offerta di unità abitative a lungo termine della Grande Mela sia schiacciata proprio dall’imperare di BnB e alloggi turistici per fini speculativi.