Appena nove mesi dopo essere stato brutalmente accoltellato, Salman Rushdie è inaspettatamente ricomparso in pubblico giovedì sera a New York in occasione del gala annuale del PEN America, un’associazione a tutela della libertà d’espressione (di cui l’autore è stato in passato presidente).
Rushdie, la cui presenza non era stata precedentemente annunciata, ha tenuto un breve discorso per ringraziare le persone che hanno rischiato la vita per difenderlo dopo l’aggressione subita la scorsa estate alla Chautauqua Institution, a Wester New York.
“È bello essere tornato – al contrario di non tornare più, che pure era una possibilità. Sono contento che i dadi siano girati in questo modo”, ha detto il 75enne scrittore britannico di origini indiane davanti a circa 700 persone riunite al Museo Americano di Storia Naturale di Manhattan, che gli hanno riservato una calorosa standing ovation.
Allo scrittore è stato poi consegnato un premio speciale, il PEN Centenary Courage Award. “Accetto questo premio, quindi, a nome di tutti coloro che mi hanno soccorso. Quel giorno io ero il bersaglio, ma loro erano gli eroi. Il coraggio, quel giorno, è stato tutto loro e li ringrazio per avermi salvato la vita”, ha detto. “E ho un’ultima cosa da aggiungere. È questa: Il terrore non deve terrorizzarci. La violenza non deve scoraggiarci. La lutte continue. La lutta continua. La lotta continua”.
A condurre la serata è stato lo sceneggiatore del Saturday Night Live Colin Jost, che ha ironizzato sui pericoli di trovarsi nella stessa stanza di Rushdie e ha paragonato la sua presenza in sala a quella di Abramo Lincoln sul balcone.
L’attuale presidente del PEN America, il drammaturgo e romanziere Ayad Akhtar, ha fatto riferimento al “nostro amato Salman Rushdie” e ha detto che l’organizzazione ha deciso di premiarlo “per ciò che ha rappresentato e continua a rappresentare, e per ciò che questa organizzazione fondamentalmente rappresenta. La libertà. Libertà di pensare, libertà di parlare, libertà di indagare, libertà di dare un senso alla realtà senza essere ossequiati dai dogmi, indipendentemente dalle conseguenze. Ha ampliato le capacità immaginative del mondo e a un costo così alto per se stesso”.
Lo scorso agosto l’autore de I versi satanici è stato pugnalato al collo e al busto da un 24enne del New Jersey poco prima di intervenire una conferenza presso la Chautauqua Institution, a circa 19 km dal lago Erie.
Da ormai più di un trentennio l’autore di origini indiane ma con passaporto britannico è costretto a vivere in maniera semi-anonima proprio a causa del suo romanzo più celebre. L’opera fu infatti ritenuta gravemente irrispettosa nei confronti del profeta Maometto e della religione islamica, tanto da spingere l’Ayatollah iraniano Ruhollah Khomeini a bandirla nella Repubblica Islamica e chiedere l’assassinio di Rushdie in una fatwa del 1989.