La figlia dell’attivista nero per i diritti civili Malcolm X ha dichiarato di voler fare causa al Dipartimento di Polizia di New York e ad altre agenzie l’omicidio del padre, avvenuto nel 1965. Ilyasah Shabazz sostiene infatti che i funzionari statunitensi abbiano occultato in modo fraudolento le prove che “hanno cospirato ed eseguito il piano per assassinare” il leader della Nazione dell’Islam.
In una conferenza stampa nel luogo dove, bambina di appena due anni, vide il padre morire assassinato con 21 colpi di pistola, Shabazz ha ricordato che “per anni la famiglia si è battuta affinché la verità sull’omicidio venga a galla”.
Durante la conferenza stampa, Benjamin Crump – l’avvocato che rappresenta la famiglia – ha affermato che potenti figure del governo americano avrebbero cospirato per uccidere Malcolm X, citando anche l’ex direttore dell’FBI J. Edgar Hoover. Crump ha dichiarato che la famiglia del leader afroamericano intende chiedere un risarcimento di circa 100 milioni di dollari.
CIA e FBI non hanno reagito all’azione mentre la polizia di New York si è chiusa dietro un no comment. Malcolm X divenne famoso come portavoce nazionale della Nazione dell’Islam, un gruppo di musulmani afro-americani che predicavano il separatismo dei neri. Quando, dopo un decennio alla guida del gruppo, se ne era distaccato assumendo posizioni più moderate, erano cominciate minacce di morte. Il 21 febbraio 1965 tre uomini, tutti afroamericani, aprirono il fuoco nella Audubon Ballroom di Harlem – freddando il 39enne Malcolm davanti alla moglie incinta e a tre delle sue figlie.
La polizia ha ritenuto per decenni responsabili Muhammad Aziz e Khalil Islam (allora rispettivamente noti come Norman Butler e Thomas Johnson), insieme a un terzo uomo, Talmadge Hayer, che in seguito cambiò nome in Mujahid Halim. Nonostante Halim avesse confessato di essere il vero responsabile dell’assassinio, una giuria federale decise di condannare tutti e tre sulla base delle deposizioni di diversi testimoni.
Aziz, un ex Marine, e Islam, autista personale di Malcom X, hanno perciò trascorso rispettivamente 20 e 22 anni in carcere, prima di essere rilasciati in libertà vigilata nel 1985 e nel 1987. Nel novembre 2021, infine, l’epilogo di una lunghissima agonia: un giudice federale ha infatti dichiarato la loro piena innocenza dopo che un’indagine durata 22 mesi ha rivelato nuove e decisive prove della loro non colpevolezza, evidenziando la coercizione dei testimoni e la soppressione di prove favorevoli.