Gli italoamericani hanno una storia che parte da lontano. I primi arrivarono negli Stati Uniti nel XIX secolo, quando molti emigrarono in cerca di opportunità economiche e di una vita migliore. La maggior di loro veniva dal sud Italia e dalle isole, spinti dalla povertà e dalla disoccupazione: arrivarono principalmente a New York, ma si stabilirono anche in centri come Chicago, Philadelphia e Boston.
Oggi, di quella prima generazione di italiani non è rimasto nessuno, ma c’è ancora un’enorme comunità di eredi e di migranti successivi che all’Italia è fortemente legata e che attualmente vive disgregata sul territorio. “Dovremmo riuscire ad unirci – suggerisce la Vice Segretaria Generale del CGIE Silvana Mangione – sentendoci parte di un gruppo coeso pur con le nostre differenze e cercando una piattaforma in cui confrontarci, far sentire la nostra voce e avere un dialogo produttivo”.
Al Calandra Italian American Institute della City University of New York, moderati dal Dean Anthony Tamburri, si è poi parlato proprio di Italia e Stati Uniti, di cultura italiana insegnata nelle università e di borse di studio dedicate a chi decide di intraprendere gli studi di italiano.
A intervenire nel dibattito sono state la Dottoressa Anne Prisco, President della Holy Family University, la Dottoressa Katia Passerini, Provost alla Seton Hall University e la Dottoressa Donna Chirico, Professor of Psychology al York College (CUNY) nonché Faculty Resident al Calandra.

Il tema delle borse di studio è stato il più sentito. A chi assegnarle e con quali criteri? Negli Stati Uniti, infatti, sono molti i giovani per i quali ricevere un aiuto economico è l’unico modo per poter frequentare l’università. I college hanno rette altissime, a cui si aggiunge il costo della vita che, in città come New York, è estremamente caro.
Per candidarsi a una scholarship, gli studenti devono solitamente presentare una domanda e un curriculum vitae, così come i loro risultati accademici e una lettera motivazionale. In alcuni casi è necessario anche avere almeno un nonno italiano, cioè avere nel patrimonio genetico un 25% di italianità. Ma con il passare del tempo anche questo requisito è diventato desueto, con le generazioni che passano e che si allontanano sempre di più dalla migrazione che portò gli italiani negli Usa.
Qualcuno suggerisce di affiancare, all’investimento economico, anche alcuni doveri che siano utili per tramandare la conoscenza della lingua italiana e della cultura che ruota attorno al Paese. Un modo per far sì che i sussidi non vadano sprecati.
Fondi che però vanno distribuiti meglio. Meglio offrire tante borse da importi limitati o meno borse ma che siano in grado di coprire una parte più grande della retta scolastica? Temi su cui il dibattito è acceso e in continua evoluzione.