Dai marciapiedi chic della Fifth Avenue ai bar più trendy di DUMBO, passando per i viali residenziali del Bronx. In ogni angolo dei cinque boroughs di New York City è ormai impossibile sfuggire al nuovo “odore ufficiale” della Grande Mela: quello di marijuana.
Merito soprattutto – ma non esclusivamente – della “cannabis law” approvata nella primavera del 2021 dall’allora governatore Andrew Cuomo. La denominazione ufficiale è “Marihuana Regulation and Taxation Act” (MRTA), che depenalizza il consumo di cannabis per gli adulti a partire da 21 anni di età in tutto l’Empire State.
Pecunia non olet… e infatti la nuova norma prevede una tassazione sulle vendite del 13% – il 9% dei quali destinato a rimpinguare le casse di Albany e il 4% quelle di City Hall. Secondo le previsioni statistiche, ciò significherebbe entrate extra di 1,25 miliardi di dollari nei prossimi 6 anni, e quindi quasi 210 milioni all’anno alla città di New York. Una somma da poter spendere per contrastare l’impennata di violenza, la crisi abitativa, o iniziare a sistemare la fatiscente metropolitana (ormai in preda ai ratti).
Ad oggi la governatrice dem Kathy Hochul – fresca di (ri)elezione – ha concesso 36 licenze di distribuzione al dettaglio, riservando un diritto di prelazione alle organizzazioni non profit che aiutano gli ex condannati per reati legati alla droga a reinserirsi nella società. Le scorte di sostanza psicotropa coltivata dagli agricoltori locali sono state finalmente immesse sul mercato newyorkese, e ai consumatori – come conferma l’analisi olfattiva – sembra piacere il nuovo corso.

Eppure non tutto fila sempre liscio: la svolta pro-cannabis ha infatti catturato l’attenzione anche dei venditori senza licenza (o che ancora devono riceverla), costringendoli ad operare in un limbo legale e soprattutto in feroce competizione con le imprese “approvate”.
I venditori non ufficiali intendono sfruttare un’incertezza lessicale presente nella norma statale, che vieta ai soggetti non autorizzati la vendita di cannabis; di conseguenza, i commercianti hanno iniziato a sperimentare modelli creativi come il gifting (ossia l’invio di prodotti della propria marca agli influencers affinché ne parlino) o tessere associative per fruire dei prodotti, senza perciò ricadere nella definizione legale di “vendita” (denaro-per-prodotto).
Come se non bastasse, il fenomeno è stato esasperato dall’estenuante battaglia giudiziaria relativa proprio alla concessione di licenze, che ha provocato stallo e ulteriore confusione. Secondo i dati comunicati dal sindaco di New York Eric Adams, le autorità cittadine avrebbero accertato più di 300 infrazioni civili e penali.

Battaglia legale a parte, New York è ad oggi il principale mercato della cannabis non solo negli Stati Uniti, ma in tutto il pianeta. A dimostrarlo è l’ultimo rapporto del Comptroller di New York Scott Stringer (edito nel 2018), secondo cui l’8-10% della popolazione adulta dello Stato di New York fa uso di marijuana – che equivale a circa 1,5 milioni di consumatori in tutto lo Stato, solo una minima parte dei quali (125.000) per prescrizione medica.
Secondo uno studio dell’impresa Seedo, i newyorkesi consumano la cifra record di 78 tonnellate di marijuana all’anno, più del doppio rispetto alla città in seconda posizione negli USA (Los Angeles: 37). Un odore insomma troppo acre per essere ignorato. E per non tentare di trasformarlo in un americanissimo odore dei soldi.