Amant è una non profit a Bushwick a Brooklyn, fondata nel 2019 che promuove la sperimentazione e il dialogo attraverso mostre, programmi pubblici e residenze d’artista.
La mostra di gruppo SIREN (some poetics) ha aperto i battenti il 15 settembre e continuerà fino a marzo. Con la curatela della scrittrice e poetessa Quinn Latimer, presenta opere di Katja Aufleger, Patricia L. Boyd, Bia Davou, Sky Hopinka, Liliane Lijn, Bernadette Mayer, Rosemary Mayer, Nour Mobarak, Senga Nengudi e Rivane Neuenschwande.

Abbiamo seguito una presentazione con la curatrice che è anche una studiosa e ha scritto questo per il pubblico della mostra: “Il suono di una sirena mette in allarme: segnala un danno. Nel mondo antico, le sirene erano raffigurate come donne (in parte uccelli o pesci) il cui canto seducente era un invito all’autolesionismo. Entrambi i canti/rumori delle sirene, antichi e contemporanei, indicano dunque un pericolo. Tuttavia, se la nostra concezione di sirena è cambiata, le nostre nozioni di controllo non lo sono. Vogliamo comunque salvarci, dal canto o altro. Eppure nell’antico poema che le rese note, le sirene non erano descritte come corpo, ma solo come voce. La seduzione offerta dalla sirena era cognitiva; era conoscenza. La sua tecnologia era un “canto amoroso”, emesso come da un oratore sulla terraferma attraverso l’acqua che indicava altri confini ideologici: tra esilio e casa, straniero e familiare, femminile e maschile, non umano e umano, pericolo e sicurezza, trasgressione e normatività, disobbedienza sonora e obbedienza sonora, cioè la lingua come rumore e la lingua come significato linguistico. Questi confini binari erano ingiusti e falsi. Ma la poesia è politica, sempre. La mostra SIREN esamina ciò che sta al di là di tali confini e binari: ancestrale, tecnologico, epistemologico, letterario, patriarcale, corporeo, emotivo o altro. Dedicata alla voce – come firma estetica o produzione di sé e del suono – e ai corpi simili a avatar che costruiamo e rompiamo attorno ad essa, la mostra considera le tecnologie del mito e della bocca, della terra e dell’allarme, del genere e della poetica.

Attraverso il lavoro di circa diciassette artisti e poeti di diverse generazioni e aree geografiche, la mostra postula pratiche che impiegano una grammatica di segni e sistemi sonori, immaginando, resistendo, scrivendo e dando voce al campo visivo.
Allontanandosi dalle mostre fredde, cliniche, concettuali e per lo più bidimensionali che tante volte sono state sinonimo di linguaggio e poesia come pratica di arte visiva, in cui il cubo bianco sostituisce la pallida pagina architettonica, SIREN è situata nella terra umida con i suoi caleidoscopici ecosistemi.
Vengono proposte forme sia umane che non umane di creazione di linguaggio e poetica, dal mito precoloniale alla fantascienza ludica, dalla linea oracolare contraffatta alla favola critica, dalle reti micotiche ai batteri intestinali, dal testo al tessuto, dalla poesia al prisma all’algoritmo. Le opere in mostra, infatti, spesso emettono ed evidenziano una sorta di linguaggio parapoetico: la poesia come opaca strutturazione metabolica o come affioramento selvatico.

Dall’Odissea, composta collettivamente e diffusa oralmente, all’arte contemporanea e alle pratiche poetiche di oggi, la nostra poetica è intrecciata con le tecnologie e i sistemi di comunicazione che ne condizionano la creazione e ne consentono (o disabilitano) la circolazione. In tutte le opere qui raccolte, tali sistemi (di linguaggio, desiderio, cognizione, violenza, genere) e miti (di normatività e supremazia) sono sentiti, articolati, criticati e canalizzati, così come i corpi da essi continuamente plasmati. Nessun corpo ma una voce, come avrebbero potuto dire gli antichi. Leggere o farsi leggere, come potrebbero rispondere i nostri contemporanei”.
La mostra SIREN è accompagnata da un programma pubblico di letture, performance e workshop, e a una pubblicazione, che sarà pubblicata da Dancing Foxes Press all’inizio del 2023.
Per più informazioni:
https://www.amant.org/exhibitions/10-siren-some-poetics