E luce fu. Ma con estrema classe. E con un Tiffany di mezzo non poteva che andar così. Nato nel 1848 a New York, Louis Confort Tiffany era figlio di Charles Lewis, fondatore dell’omonima gioielleria oggi diffusa in tutto il mondo. Ma lui scelse un percorso differente rispetto al padre, quello di designer ed artista.
Era ancora molto giovane quando fondò un’azienda vetraria che fece storia. Un’officina a Corona, nel Queens, a due passi da quello stesso Museo che oggi ne ripropone parte delle sue opere: lampade colorate in vetro al piombo. Lì ci si può trovare catapultati nell’art déco newyorkese e apprezzare almeno una parte del gran lavoro di Tiffany in America ai primi del Novecento. Lavoro che comprendeva, appunto, la progettazione di un’intera gamma di elementi di arredo in vetro e piombo.
Le opere di Tiffany sono esposte anche al MET, a Chicago, in Florida, ma la collezione di lampade esposte al Queens ha una storia differente alle spalle, in parte europea. Si perché comincia grazie a una coppia di immigrati austriaci, Egon e Hildegard Neustadt, che, arrivati a New York, cercavano oggetti americani e a buon mercato per arredare la loro casa del Queens. Per risparmiare, si infilarono in un negozio dell’usato, dove trovarono una serie di oggetti ormai fuori moda. Era soltanto il 1935, ma anche le lampade Tiffany erano considerate già vecchie.
La coppia ne trovò una, coloratissima, e quando scoprì che era stata realizzata a pochi passi da lì, proprio nel quartiere in cui stavano andando ad abitare, l’acquistarono senza esitazione, investendo i primi 12 dollari e mezzo per quella che si trasformerà in una vera e propria passione. Di quei paralumi colorati, infatti, si innamorarono moltissimo. Così tanto che ne cercarono altri, ed altri ancora, fino a diventare i più importanti collezionisti al mondo di lampade Tiffany. I Neustadt fondarono, così, un’associazione indipendente senza scopo di lucro.
Era il 1969. Da allora la fondazione raccoglie tutto ciò che riguarda il lavoro di Louis C. Tiffany: lampade, finestre, oggetti in metallo, materiali d’archivio e centinaia di migliaia di pezzi di vetro e gioielli, sempre in vetro. Le lampade in esposizione al Queens Museum fanno parte di quel lavoro del designer cominciato nel 1898. Combinavano utilità e bellezza, perché attenuavano il bagliore delle prime lampadine dell’epoca. Grazie ai vetri colorati, riempivano le stanze di colori caldi, e creavano atmosfere magiche, rilassanti, eleganti. Spesso le lampade avevano un’elegante base in bronzo. Erano, in ogni caso, sempre lavorate a mano nelle fornaci, fonderie ed officine di Corona, nel Queens.
Ogni paralume comprendeva centinaia di pezzi di vetro e, nel periodo di massima diffusione, costava carissimo per l’epoca. Basti pensare che a inizio ‘900 il reddito medio dei newyorchesi era compreso tra i 438 e i 621 dollari all’anno. Una lampada Tiffany, in base alla dimensione, poteva costare fino a 750 dollari. Era un periodo in cui questi oggetti d’arredo e di gran classe venivano venduti nei grandi magazzini più esclusivi d’America, ma anche nelle gioiellerie Tiffany fondate dal padre del designer.
La mostra “Tiffany Lamps: Lighting Luxury”, curata dalla Neustadt Gallery ed allestita al Queens Museum di Flushing Meadows, sarà visitabile fino alla primavera del 2023. E per chi non fosse mai stato al Museo del Queens, ricordiamo che lì si può ammirare il famoso “Panorama of the City of New York”, costruito per la Fiera del 1964 in tre anni da un centinaio di persone guidate dello studio di architettura di Raymond Lester. È quella meravigliosa struttura che spicca in Una vita a New York di Martin Scorsese e Fran Lebowitz. Una New York in miniatura, ma affascinante e completa.
E per garantire il futuro del modello della città, che va continuamente aggiornato e illuminato, il Museo ha lanciato nel 2009 il programma Adopt a Building. Per un minimo di 100 dollari, pensate, si può acquistare un angolo di Manhattan. C’è chi ha pensato di ricordare così il luogo del suo primo appuntamento, la sua scuola, il primo posto in cui ha abitato. Un ricordo nel ricordo in un museo soltanto apparentemente defilato, ma tutto da scoprire.