A New York, all’ombra dei grattacieli di Rockefeller Center – sulla Sesta Avenue fra la 48ª e la 49ª Strada – ci sono i quartieri generali di Simon & Schuster, la veneranda casa editrice fondata nel 1924 da Richard Simon e Max Schuster. Festeggerà il suo primo centenario fra due anni, ma prima di allora potrebbe già essere stata acquistata da una casa editrice concorrente – la Penguin Random House – che a sua volta è già il risultato di una fusione.
La britannica Penguin risale al 1935, quando fu fondata dai tre fratelli Lane. L’americana Randon House non è più della famiglia che la fondò nel 1927. Alla fine degli anni ’90 fu acquistata dalla tedesca Bertelsmann che creò un colosso mondiale che inglobava Bantam, Doubleday e Dell, anch’esse vecchie glorie dell’editoria a stelle e strisce.

I quartieri generali della Penguin Random House sono a un tiro di schioppo da Simon & Schuster, al 1745 Broadway fra la 55sima e la 56sima Strada. È dunque nel giro di pochi isolati a Manhattan che si sta giocando una partita editoriale all’ultimo sangue. Ma a mettere il bastone fra le ruote di una possibile fusione è il governo Usa, che ha fatto causa alla Penguin Random House per bloccare l’operazione.
Il timore del Dipartimento di Giustizia è reale: ormai di grosse case editrici di libri ne sono rimaste solamente cinque e se il merger in questione dovesse andare a termine si scenderebbe solamente a quattro. La mancanza di concorrenza sarebbe un disastro per gli autori, che si troverebbero a dover accettare compensi e royalties senza avere molto spazio di contrattazione.
A sostegno della posizione espressa dal Department of Justice é stato lo scrittore Stephen King, che all’inizio di agosto era stato chiamato a Washington per testimoniare. “L’idea di una fusione è semplicemente ridicola”, ha detto l’autore di oltre settanta romanzi. “Sarebbe come se marito e moglie facessero offerte differenti per aggiudicarsi la stessa casa. Consolidare il mercato è negativo per la concorrenza in un contento nel quale per gli scrittori diventa sempre più difficile guadagnare abbastanza per vivere”.
La proposta di fusione risale a un anno e mezzo fa. Era nel novembre 2020 che la Penguin Randon House annunciò l’intenzione di fondersi con Simon & Schuster. Ma il dipartimento di Giustizia sollevò immediatamente obiezioni. “Autori e consumatori americani si troveranno a pagare un prezzo salato a seguito di qusta fuzione anticoncorrenziale”, aveva dichiarato il ministro della giustizia Merrick Garland. “I compensi agli autori saranno più bassi e la scelta di libri sarà più ridotta”.

Ma le argomentazioni della Penguin Random House tirano in ballo Amazon. In teoria il gigante delle vendite online non è parte in causa e il suo nome non emerge in nessuna delle argomentazioni legali. Ma la verità è che Amazon è diventato il distributore numero uno di libri in America. Le casa editrici tradizionali sentono la necessità di crescere e diventare più forti per contrastare la prepotenza di Amazon. Gli autori si trovano col cappio alla gola senza possibilità di scegliere: se decidono di non permettere la distribuzione dei loro libri su Amazon, rischiano di vedere le vendite di un particolare libro scendere a picco.
In poche parole ci troviamo davanti a due pericolose forme di monopolio: riduciamo la concorrenza fra case editrici tradizionali per contrastare il monopolio di Amazon? La misura necessaria sarebbe per il governo Usa di trovare un modo per contenere la potenza commerciale di Amazon nel settore editoriale. Ma permettere la fusione di Penguin Random House con la Simon & Schuster sembra essere un modo per ripetere un vecchio ritornello: già un decennio fa la Bertelsmann aveva creato una fusione con un concorrente (formando così la Penguin Random House) dicendo che era una mossa necessaria per contrastare la crescita di Amazon. Ci siamo da capo?