Non riesco a immaginarmi come Paul Auster abbia potuto sentirsi domenica mattina leggendo sul New York Times una minuziosa e dettagliata ricostruzione di quello che ha portato alla morte di suo figlio Daniel. Mi immagino lo scrittore nel suo studio-biblioteca di Brooklyn con in mano l’articolo di prima pagina della sezione Sunday Style.
Ah, style: come se morire in una stazione della metropolitana di New York a seguito di un’overdose fosse una questione di stile di vita. Come se provocare la morte di sua figlia di dieci mesi fosse una questione di stile di vita. Come se accettare tremila dollari in cambio del silenzio dopo avere assistito a un brutale omicidio fosse una questione di stile di vita. Ma lasciamo da parte la collocazione dell’articolo in una sezione del giornale dove ci sono foto dei party più ambiti degli Hamptons, un articolo sul nuovo fashion brand Champagne e annunci matrimoniali corredati di foto e biografie degli sposi. Mettiamo da parte questa infelice collocazione giornalistica e focalizziamoci invece sulle oltre 4000 parole scritte da Alex Vadekul, un giovane e abile giornalista che dall’aspetto ricorda l’attore Timothee Chalamet.
Mi immagino Paul Auster nel suo studio con le mani che gli tremano mentre legge l’articolo al quale non ha partecipato né lui nè la sua attuale moglie Siri Hustveldt, né la sua ex moglie Lydia Davis che era la madre di Daniel. Erano stati contattati dal New York Times ma avevano deciso di non rispondere ad alcuna domanda. Solamente la laconica dichiarazione “non abbiamo assolutamente nulla da dire a questo proposito” rilasciata dalla Hustveldt.

Mi immagino l’autore di Trilogia di New York o di Follie di Brooklyn che legge l’inquietante articolo perchè sono stato nel suo studio. Era lí dove lo avevo intervistato la prima volta per L’Espresso. C’erano state due o forse tre altre interviste per Repubblica e altri giornali. Una volta avevo anche incontrato la moglie Siri — anche lei scrittrice di notevole fama — e piú di recente avevo intervistato loro figlia Sophie Auster, sorellastra di Daniel nonchè apprezzata artista musicale. Non voglio con questo spacciarmi per amico di famiglia perché non lo sono. iI nostri contatti erano stati esclusivamente professionali. Ma quando ho visto sul Times la fotografia del quarantaquattrenne Daniel ho riconosciuto subito gli occhi “di famiglia”. Avevo visto quell’espressione intensa e un po’ ironica sia sul volto del padre che della sorella.
La storia di Daniel é drammatica. Colpa sua che si drogava? Colpa dei suo genitori famosi che da anni sono parte dell’intellighenzia letteraria newyorkese? Colpa di una metropoli le cui notti debosciate erano leggendarie già negli anni ’80? Giudizi a parte, é una storia da seguire con dolore quando un uomo di alta estrazione sociale e culturale muore in un ospedale di Brooklyn sei giorni dopo essere stato trovato senza conoscenza una mattina lungo la banchina della metropolitana.
Il decesso di Daniel era avvenuto il 26 aprile. L’episodio in metro era stato il 20 aprile. Cinque giorni prima un tribunale di New York lo aveva trovato responsabile di omicidio colposo nella morte di Ruby. Era figlia sua e di Zuzan Smith, un’artista grafica di ventisei anni che aveva sposato a Berlino nell’estate 2021. Ruby era nata da pochi mesi ma la sua vita non sarebbe durata a lungo. Il 1 novembre 2021 — all’età di dieci mesi — era stata trovata senza vita accanto al papà. Erano nel loro appartamento di Brooklyn, su Berger Street, non lontano dalla palazzina dove avevo intervistato papà Paul la prima volta.
Zuzan era uscita di casa presto al mattino lasciando Ruby — sveglia e perfettamente sana — sotto le cure di Daniel. Ma lui aveva ammesso di essersi fatto un’iniezione di eroina e essersi addormentato accanto alla neonata. Nella sua dichiarazioni alla polizia si legge che “quando mi sono svegliato l’ho trovata accanto a me blu in volto, non reattiva e senza vita”. Prima di chiamare la polizia aveva tentato di farla reagire dandole Narcan, un farmaco che usano i drogati quando vanno in overdose. Portata d’urgenza al New York Presbyterian-Brooklyn Methodist Hospital, i medici ne avevano determinato il decesso affermando che la morte era stata causata da un’acuta intossicazione di eroina e Fentanyl.
Quattro mesi dopo, nell’aprile del 2022, il medico legale aveva concluso che si era trattato di omicidio. Daniel era stato arrestato e incriminato di omicidio colposo, negligenza criminale e messa a rischio del benessere di un minore. Era stato portato a Rikers Island, una delle prigioni di New York, dalla quale tuttavia era stato rimesso in libertà quasi subito. Appena poche ore dopo il suo rilascio, il 20 aprile, era stato trovato in stato di overdose nella stazione della metropolitana.

La morte di Daniel dopo avere provocato la morte di Ruby era stato un drammatico doppio epilogo a un’esistenza punteggiata da droga e inquietanti episodi criminali. La prima volta era stato negli anni ’90 quando il nome di Daniel Auster era emerso legato all’omicidio di una nota figura della vita notturna newyorkese. Già quando era un teenager Daniel frequentava assiduamente Limelight e Tunnel, due discoteche che più di qualsiasi altro club rappresentavano l’estremo della vita bohémienne a New York in quegli anni: vita fatta di sesso, droga e disco music. Non é un caso dunque che all’età di diciotto anni il ragazzo fosse già così addentro con i personaggi delle notti newyorkesi da essere stato presente il giorno in cui Andre Melendez fu ucciso da Michael Alig e Robert Riggs. Andre era un noto spacciatore che riforniva locali notturni; Michael Alig era un promotore di eventi nelle discoteche più in di Manhattan; Robert Riggs era l’uomo con cui Michael condivideva il suo appartamento nel quartiere emergente di Hell’s Kitchen.
A poco era servito che Paul Auster e la moglie Lydia Davis avessero cresciuto Daniel in una spaziosa e comoda palazzina in un quartiere residenziale di Brooklyn. Lo avevano anche fatto studiare a Packer Collegiate, una ben nota scuola privata. Lo avevano esposto alle migliori menti letterarie in quegli anni. Questo solido ambiente sociale e culturale non era stato sufficiente per tenere Daniel lontano dalle follie delle notti newyorkesi. Anzi, era addirittura rimasto folgorato da un personaggio come Michael Alig che era il re incontrastato di Limelight, una discoteca creata all’interno di una chiesa sconsacrata. Amicizia destinata a naufragare quando ci fu un drammatico cambiamento nelle droghe che alimentavano le notti newyorkesi. Inizialmente era l’ecstasy a rendere irrefrenabili per ore e ore le persone sulla pista da ballo, poi entrarono in scena droghe assai più potenti come il crystal-meth e la keramine. Alig nel frattempo era diventato un eroinomane. È con questi presupposti che il 17 marzo 1996 nell’appartamento di Michael Alig si era consumato un terribile omicidio, presente anche il diciannovenne Daniel Auster.
Michael era in un mare di guai, a causa dell’eroina doveva un sacco di soldi a Melendez. Non un buon motivo per spaccargli il cranio con un martello, soffocarlo e versargli giù per la gola un velenosissimo prodotto per le pulizie di casa. Per giorni e giorni il cadavere di Melendez era rimasto nella vasca da bagno coperto di ghiaccio mentre Mike, i suoi amici e Daniel continuavano a farsi di droga. Quando la puzza da putrefazione si era fatta troppo intensa Mike aveva coperto il cadavere di Eternity, il profumo lanciato da Calvin Klein, prima di buttare quello che era rimasto di Melendez nel Hudson River. Non si aspettava certo che la salma venisse a galla e lui venisse trovato colpevole di omicidio.

E Daniel Auster? Non fu mai implicato nell’omicidio di Melendez, ma si venne a sapere che Mike Alig aveva pagato il suo silenzio. Gli aveva dato 3000 dollari par tappargli la bocca, un silenzio che comunque gli era costato 17 anni di prigione. Era intervenuto papà Paul Auster che, contando sulle sue amicizie altolocate, era riuscito a far dileguare le tracce di Daniel che si era trasferito in una località mai rivelata.
Il New York Times ha ricostruito anche come, dove e quando la figura di Daniel era apparsa in modo più o meno velato nella narrativa di papà Auster. Qui cammino su un terreno conosciuto perché francamente non ho mai letto il memoir di papà Auster “The Invention of Solitude”, né ho mai letto un romanzo di Siri Hustvedt dove fa riferimento a un figliastro teenager coinvolto in un omicidio. Non so dunque con precisione quanto i genitori di Daniel abbiamo rivelato nei loro libri i problemi o i traumi che Daniel si portava dentro.
Sembra comunque certo che ne fossero a conoscenza da anni e anni. Già nel 1982 quando Paul Auster pubblica L’Invenzione della solitudine. Nel romanzo l’autore rivelò le tensioni esistenti con suo padre, usando il figlio (Daniel) come veicolo di scoperta delle relazioni fra padre e figlio.
Ma il resoconto del New York Times sulla caduta del giovane Auster dall’olimpo della letteratura all’inferno della droga non mi lascia con la voglia di rileggere i romanzi del celebre padre. Nel 2003, per esempio, in Oracle Night il protagonista é uno scrittore di Brooklyn, padre di un drogato violento di nome Jacob. Una tematica sicuramente autobiografica visto che lo scrittore in questione si chaimava Trause, un anagramma del cognome Auster. No, non mi viene voglia di rileggere Oracle Night e neppure City of Glass, una novella del 1987 dove il protagonista ha un figlio dalle maniere gentili che si chiama Daniel.
Sono curioso piuttosto di leggere Clubland: The Fabulous Rise and Murderous Fall of Club Culture, un libro del 2003 nel quale Frank Owen approfondisce la teoria che Robert Morgenthau – potentissimo procuratore distrettuale a Manhattan negli anni dell’omicidio di Andre Melendez – chiuse un occhio sul coinvolgimento di Daniel perché era amico del padre. Mi viene voglia di leggere Disco Bloodbath: A Fabulous but true Tale of Murder in Clubland. In questo memoir pubblicato nel 1999 James St. James aveva descritto con dovizia di particolari la strettissima amicizia fra Michael Alig e Daniel Auster. Anch’io in quegli anni andavo al Limelight, a The Tunner, Area, Danceteria e The Pyramid Club. Sapevo che circolava tanta, tantissima droga e che i miei coetanei di allora stavano in piedi tutta notte grazie a pasticche, polvere su per il naso e quant’altro. Ma non avevo idea di quanta criminalità circolasse in quei locali notturni. Né di quante vite siano state distrutte.