“Ogni paese deve saper imparare dagli altri. Per molto tempo il settore salute è stato considerato impropriamente un tema nazionale e talvolta addirittura territoriale e regionale. Due anni di pandemia ci hanno insegnato che invece è un tema internazionale, per cui occorre fare un salto di qualità in termini di governance globale della materia”.
Così esordisce sabato il ministro della Sanità Roberto Speranza davanti ai giornalisti convocati al 30esimo piano di un albergo di Midtown Manhattan. Di passaggio da New York per degli incontri al Palazzo di Vetro dell’ONU, da lunedì sarà a Washington per firmare un memorandum di collaborazione sanitaria con il suo omologo USA, Xavier Becera vedendo anche il virologo Anthony Fauci. Speranza ci appare molto “confident”, sicuro di quello che dice. Fu lui il primo ministro occidentale della salute che, ormai oltre due anni fa, si ritrovò ad affrontare il covid quando evaporò l’illusione che potesse essere un problema solo cinese. Così quando finisce di rispondere alle domande dei giornalisti ci avviciniamo ancora per chiedergli cosa lui prenderebbe dal sistema sanitario statunitense e cosa assolutamente no. Il ministro italiano risponde in modo fermo: “Ovviamente io difendo il sistema universale, cioè il modello italiano ed europeo. Un modello che va difeso con il coltello tra i denti. Cioè l’idea che se stai male non conta quanti soldi hai o dove sei nato, ma hai diritto ad essere curato e non serve l’assicurazione o la carta di credito. Questo modello lo terrei per sempre e vorrei difenderlo e rafforzarlo. Cosa prenderei dagli USA? La loro straordinaria capacità di investire nella ricerca. Credo che questo sia un punto su chi noi dobbiamo riflettere a provare a forzare la nostra capacità”.
La lezione più importante imparata dalla pandemia da tenere per sempre in mente? “La necessità di investire sul Servizio sanitario Nazionale. Ora abbiamo finalmente più risorse, dobbiamo investirle al meglio – ha continuato – Questo significa mettere soldi sulla sanità del territorio, sulla assistenza domiciliare, la casa come primo luogo di cura, rafforzare la nostra rete di prevenzione con le case di comunità e gli ospedali di comunità”.
All’ONU Speranza ha incontrato il Presidente dell’Assemblea Generale Abdulla Shahid con cui, affrontando il tema delle campagne di vaccinazioni, ha condiviso la necessità di un ulteriore sforzo per lavorare non solo sulle donazioni di dosi ma anche sulla logistica per fare in modo che le dosi arrivino a destinazione. “In Italia abbiamo somministrato 137 milioni di dosi. Per fare questa impresa in un numero di mesi limitati ci vuole un grande servizio sanitario nazionale. Lo diamo per scontato, ma questo è un fatto vero: hai bisogno di una rete capillare, di presenza sul territorio di medici, infermieri, operatori sanitari”, ha detto il ministro sottolineando l’importanza che “i paesi più strutturati lavorino perché la dose di vaccino, una volta donata possa arrivare ai destinatari”. Al centro di incontri all’Unicef sono stati i temi della salute mentale, anche in vista del Summit globale la cui quarta edizione si svolgerà in ottobre in Italia. “La pandemia ci ha insegnato che non c’è salute senza salute mentale”, ha detto Speranza, aggiungendo che l’agenzia dell’Onu per l’infanzia sarà presente “perchè il tema si connette in maniera rivelante alle giovani generazioni, ai più piccoli: una parte larga dei problemi di salute mentale insorgono nelle età più basse, dei bambini e degli adolescenti”.
Lo stato del covid in Italia non sembra preoccupare Speranza, anche dopo l’identificazione della variante Omicron4, anche se avverte che non si deve abbassare la guardia: ”Monitoriamo costantemente le varianti. Il 3 maggio ci sarà una nuova ‘flash survey’, che è il nostro meccanismo di controllo delle varianti. In questo momento le varianti della famiglia di Omicron sono tutte dentro lo stesso schema fondamentale e non hanno presentato particolari problematicità di gestione nel nostro Paese, visto il nostro livello di vaccinazione e i tipi di vaccino che abbiamo utilizzato”. Per Speranza i problemi aumentano in quei paesi con bassi livelli di vaccinazione o che hanno usato vaccini che non si sono dimostrati adeguati rispetto a Omicron.
Il ministro ha quindi ribadito che “la battaglia contro il virus o si vince tutti insieme o non si vince. Per questo dobbiamo prenderci carico delle difficoltà dei paesi più fragili e dobbiamo farlo con donazioni, aumentandole, ma anche con assistenza logistica e organizzativa per promuovere le campagne di vaccinazione. E dobbiamo farlo al più presto”.
Alla vigilia dell’abolizione del green pass e dell’allentamento delle misure sulle mascherine obbligatorie in Italia, Speranza da New York ha ribadito l’importanza di insistere sulle terze dosi. “La campagna di vaccinazione non è finita. Dobbiamo insistere sulle terze dosi e sulle quarte dosi alle persone che hanno già una raccomandazione da parte delle autorità sanitarie, vale a dire gli ultraottantenni, chi vive in una Rsa e alle persone tra i 60 e i 79 con particolari fragilita’”. “Domani in Italia facciamo un passo in avanti in un percorso di gradualità – ha continuato – ma dobbiamo stare con i piedi per terra. L’Italia è stato il primo Paese ad essere colpito, abbiamo dovuto immaginare soluzioni anche piuttosto dure. Ora possiamo fare questa scelta perché abbiamo fatto una straordinaria campagna di vaccinazione. Se possiamo permetterci determinati progressi, è perchè più del 90 per cento delle persone sopra i 12 anni ha completato il ciclo primario delle due dosi. Senza questi numeri non sarebbe stato possibile”.
A chi faceva notare la differenza tra l’Italia e gli USA per quanto riguarda l’obbligo delle mascherine, ha replicato ”Non avere un obbligo non significa diventare irresponsabili. Ci sono ancora situazioni al chiuso, così come anche all’aperto, dove ci possono essere condizioni di assembramento”, osservando che “la battaglia contro il Covid non è ancora finita”.
Speranza ha risposto anche a domande di politica interna: il suo partito punta ancora all’alleanza con il Movimento 5 stelle di Giuseppe Conte, nonostante le differenti posizioni tenute sull’invasione russa dell’Ucraina. Sembrerebbe di sì, ma qui il ministro ci è apparso meno “confident”. Ma finché c’è il covid e se ne parla, Speranza c’è.