
Erano settimane che temevo di incontrare Jonathan. O meglio, erano settimane che temevo di incontrare una persona come lui, un uomo la cui storia personale cattura la crisi in cui é sprofondata New York. Una crisi in cui si intrecciano tre realtà — l’epidemia del corona virus, i consumi e il mercato immobiliare. E aggiungiamone una quarta — il gettito fiscale.
L’incontro con Jonathan era stato il 29 agosto. Mai visto né conosciuto prima questo uomo di trentotto anni che all’apparenza ne dimostra cinque o sei di meno. Quando dico che era stato un incontro casuale intendo letteralmente una cosa avvenuta in modo del tutto spontaneo. Avevo incominciato a parlare con lui mentre stavo cogliendo opinioni al volo per un articolo su un tema differente. Nei primi trenta secondi di conversazione aveva condiviso un dettaglio che mi aveva fatto rizzare le orecchie. Stava per lasciare New York: Il Covid aveva avuto il sopravvento, lui era disoccupato e non poteva piú permettersi di vivere qui.

Erano settimane che avevo sentore che nell’economia della Grande Mela si stesse mettendo in moto una spirale discendente che per mesi o forse anni avrá ripercussioni sulla quotidianitá di tutti noi. Ed ecco che inaspettatamente mi ero trovato davanti agli occhi l’esempio tangibile di quello che possiamo aspettarci nel prossimo futuro.
Il 31 agosto a Jonathan scadeva il contratto di locazione. Con due settimane di preavviso aveva dato la disdetta al padrone di casa. “Abito a East Harlem ma ho perso il lavoro e non mi posso piú permettere di pagare l’affitto”, mi aveva detto spiegando che si era trasferito a New York da Los Angeles per continuare a lavorare nel settore della ristorazione. Sono diciassette anni che é in questo settore avendo lavorato come cameriere per i migliori ristoranti d’America. A Los Angeles era stato impiegato da Spago, il locale creato dal celebrity chef Wolfgang Puck e da li si era trasferito a New York per entrare a far parte del team di Per Se, un rinomato locale a cinque stelle. Poi é arrivato il Covid e ha fatto un massacro.
Tutti i ristoranti di New York avevano chiuso a marzo quando la città era andato in lockdown. Dopo varie settimane alcuni avevo ripreso le attività solamente per cibo d’asporto e solo successivamente avevano ottenuto il permesso di riaprire esclusivamente con servizio all’aperto, non nelle sale interne. La soluzione é funzionata in luglio, agosto quando il clima é buono e mangiare all’aperto è piacevole. Ma con l’arrivo dell’autunno quali sono le prospettive? Al meglio il governatore Cuomo permetterà di riaprire le sale interne, purché vengano rispettate le distanze sociali. Il che vuol dire ridurre notevolmente il numero di coperti. Nel migliore dei casi il fatturato sarà la metà di quello che era prima, ma per la maggior parte dei locali si parla di un terzo o addirittura un quarto degli introiti pre-Covid.

Per molti locali gli introiti decurtati significa che non riusciranno a sopravvivere perché le locazioni commerciali sono a canoni stratosferici. L’unica opzione è chiudere l’attività. È quello che è avvenuto alla TAK Room, il ristorante dove Jonathan lavorava come capo-cameriere. Il 12 agosto era venuta la notizia che la TAK Room non avrebbe riaperto. Per questa steakhouse ad alto livello — in menù bistecche enormi da 100 dollari l’una — la chiusura temporanea era diventata definitiva. A prendere la decisione era stato Thomas Keller, il celebrity chef che nel 2019 aveva aperto questo locale nel quartiere trendy di Hudson Yards. Keller era stato più che un pioniere. Era stato il più importante ristoratore a scommettere su questa zona di New York che prometteva di diventare la nuova destinazione. Grazie al suo coraggioso (e ingente) investimento altri undici ristoranti avevano accettato la scommessa di Hudson Yards.

Per Keller la scommessa andata male é durata un anno solo. “Quando ho saputo che la TAK Room non avrebbe riaperto sono sprofondato in una crisi depressiva”, mi aveva detto Jonathan. “Mi sono chiuso in casa e sono uscito solo ora, due giorni prima di lasciare New York per sempre”.
Programmi per il futuro non ne ha. Sarebbe andato ad Atlanta a vivere a casa dei genitori. “Cercherò di rimettere insieme i pezzi della mia esistenza e decidere in che direzione muovermi”, aveva detto Jonathan facendomi riflettere su quanto la sua storia catturi la crisi che si è messa in moto a seguito dell’epidemia del Covid.

Hudson Yard perde un inquilino importante che aveva fatto da traino ad altri ristoratori. C’é da scommettere dunque che altri ristoranti della zona chiuderanno mettendo in strada centinaia di dipendenti come Jonathan. Infatti tutto il futuro di Hudson Yard é in bilico. Perfino i prestigiosi grandi magazzini Neiman Marcus hanno chiuso lasciando una voragine commerciale vuota. Vuoto anche l’appartamento di Jonathan a East Harlem. Il padrone di casa riuscirà a riaffittarlo? Sarà dura perché si parla di 13 mila appartamenti sfitti solamente a Manhattan, una parte della città dove solitamente un appartamento vuoto viene affittato nel giro di pochi giorni.

Jonathan disoccupato significa anche una perdita di introiti fiscali. Guadagnava intorno agli 80 mila dollari all’anno, quindi possiamo dire che piú o meno il fisco perde 30mila dollari. Considerato che a New York circa 150mila persone hanno perso il posto di lavoro nel settore della ristorazione si fa presto a fare i conti.
Che cosa saranno le conseguenze di un gettito fiscale ridotto? Scuole, strade, servizi sociali si trovaranno in grave difficoltá. E cosí pure la polizia, i vigili del fuoco e qualsiasi altro servizio finanziato da denaro pubblico. Per ogni Jonathan che se ne va la cittá perde sia un contribuente che un consumatore. É per questo che durante la mia conversazione con Jonathan ho provato un vero e proprio senso di tristezza. Triste per lui che a trentotto anni non gli resta altro che tornare a vivere in famiglia. Ma triste anche per tutti noi che restiamo in questa cittá dove chiacchierare con uno sconosciuto é facile. Sopravvivere invece é assai difficile.