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Un cubicolo a Manhattan o una villa in New Jersey? Il dilemma di chi ha figli a NY

Molte famiglie scelgono di spostarsi in altri quartieri, o addirittura in New Jersey, ma io ho scelto l'Upper West Side e vi spiego il perché

Miki ZambellabyMiki Zambella
Un cubicolo a Manhattan o una villa in New Jersey? Il dilemma di chi ha figli a NY

Vista dell'Upper West Side.

Time: 5 mins read

Quando si pensa alla vita a New York si immaginano grattacieli lussuosi e altissimi (sebbene l’Asia detenga il primato mondiale in altezza), con vetrate che abbracciano l’intero appartamento e vista fiume Hudson, che costano milioni di dollari al metro quadrato. Ecco perché, a famiglie numerose, che hanno almeno due bambini, viene spontaneo chiedere: “Where did you move”, “Do you still live in the city?”, cioè “Dove vi siete trasferiti?” o “Vivete ancora in città?”.

Le ragioni di queste domande sono chiare: il costo della vita a New York è alto, sebbene la città risulti essere soltanto la 13esima più ricca al mondo secondo le ultime statistiche relative al 2018. Tra la realtà finanziaria di Wall Street e la finzione degli spettacoli di Broadway, oltre 1,8 milione di persone é condensato su questa piccola isola di 87km², considerata il motore economico degli Stati Uniti, visto che in essa sorge Wall Street, sede della più grande borsa in termini di volume di scambi. 

Vivere negli skyscrapers fa un certo effetto, e ha, secondo me, i suoi vantaggi. Ciò che mi ha spinto ad indagare sui vantaggi o meno di vivere fuori da Manhattan é l’ultima tendenza della maggior parte dei miei amici con famiglie numerose. Tutti, o quasi si stanno spostando fuori città, in ordine di preferenza, in New Jersey (che, si badi, è addirittura uno stato a sé, diverso da NYC, con tassazione molto più bassa), ma anche Brooklyn, Westchester, Armonk, Rye, Larchmont, Long Island City, Astoria nel Queens, Long Island.

Ricordo ancora le mie sciocche domande al parco giochi quando incontravo delle neo-mamme al primo bebé: “Resterete in città o andrete via?”. A seconda della risposta, decidevo se scambiarci il numero e iniziare a fare playdate. Così ho incontrato Michelle H., madre di Max, nata e cresciuta in Upper East Side, e poi Florida, dove ha conseguito la laurea e incontrato il marito. “Mi aveva giurato che non si sarebbe mai più allontanata dalla città… almeno fino all’arrivo del secondogenito, Miles”. Il trasferimento a Ridgewood é stato doveroso, secondo lei. Non ho resistito alla voglia di farle visita, e la casa non ha smentito le mie aspettative da sogno americano. Ampio giardino antistante e restrostante, macchinone con garage, alberi, tre piani con basement, piano soggiorno, piano notte, e attico trasformato in un “walking closet” (armadio), camino, tanti divani, tanti tappeti. Mancano dei cani, almeno per ora.

Dopo la piacevole giornata trascorsa nella quiete della periferia, mi mancava però il caos dei taxi, la gente che cammina e parla velocemente e ad alta voce. E allora mi é venuto da pensare che, forse, amo la vita nevrotica che conduco a Manhattan, e non la cambierei per nulla al mondo. Ma perché?

La solitudine di uno straniero, in una città così grande e impersonale, si annienta scavalcando la soglia di un grattacielo di Manhattan. Entro nel mio palazzo, con un giardino antistante ben curato dai giardinieri condominiali, e mi saluta il mio doorman (portinaio) e i vari vicini, di ogni nazionalità. Esistono attività comuni nel building, quali yoga, pilates, club di libri, lezioni di arte. Più o meno, ci si conosce, di viso, di voce, dal passo in corridoio.

Non guido, per cui esco fuori e, ad alzata di mano, mi si fermano mille taxi. Non devo raccogliere le foglie d’autunno, né spalare la neve alta e densa d’inverno. Ho mille palestre tutte intorno, mille caffetterie, pasticcerie, gelaterie e ristoranti ad ogni angolo, a pochi passi da casa. Tutto è a misura d’uomo, a Manhattan. Dunque, dove è meglio vivere con e per i bimbi?

Quando eravamo una famiglia composta soltanto da marito e moglie, abbiamo preferito l’Upper West Side, sebbene fosse troppo snob e altolocato per una coppia di giovani lavoratori come noi. L’ideale sarebbe stato Chelsea, Lower East Side, Meatpacking District, che erano comunque le zone da noi frequentate per serate inebrianti.

Con una bambina, la scelta si è ridotta, basandosi principalmente sui distretti scolastici. Qui si entra nelle scuole pubbliche in base al numero di codice postale; per cui, abitare in un’area piuttosto che in un’altra influisce sul futuro educativo dei propri figli. Perché, dunque, ho scelto l’Upper West Side?

  1. È più ampio, arioso e spazioso dell’Upper East Side, con accesso diretto ad un’area di parchi giochi e ricreativa ben allestita e organizzata lungo il fiume Hudson, con linea pedonale e ciclabile, che ti porta fino a giù a Wall Street, tanti bar e caffetterie aperte da colazione a cena, con festival e concerti live durante tutta l’estate.
  2. Ci sono più musei: Children’s Museum of Manhattan, Natural History Museum, Musei multiculturali in Harlem, Museo del Design.
  3. C’è un centro commerciale (di lusso, aggiungerei) a Columbus Circle.
  4. Siamo vicini a Central Park e al fiume, nonché a poche fermate di metro da Times Square e dal teatro di Broadway, e dal teatro dell’Opera e del Balletto di Lincoln Center.
  5. Ci sono ottime scuole private e pubbliche.
  6. Il vicinato è molto cordiale. Molti stranieri, molti ebrei, con grande senso di appartenenza e comunità.
  7. C’è un alto senso di sicurezza visto il servizio portineria giornaliero e notturno.

Queste le motivazioni che mi hanno spinta a rimanere in città. Certo, non ho molti spazi a disposizione e si vive come in un puzzle ad incastro, dove il minimalismo e la super organizzazione della casa diventano essenziali.

Perché, dunque, le mie amiche sono tutte andate via?

Il denominatore comune principale sembra essere il caro vita. Altresì, la necessità di maggiore spazio; il mercato della casa e ottimo valore prezzo/qualità per metri quadri; l’accessibilità a scuole pubbliche di alto livello e gratis; il costo vita meno caro, dalla spesa quotidiana agli asili nido; la possibilità di avere una macchina con proprio garage; gli affitti più bassi; una migliore qualità di vita senza sovraffollamento.

Danila D., mia amica universitaria napoletana e mamma di tre splendidi bambini tutti under 4, si è spostata dall’Upper East Side in un bellissimo e immenso appartamento a Williamsburg, riconoscendo il valore dello sviluppo urbanistico di questo quartiere colmo di artisti e expat, che cercano delle realtà più peculiari.

Anna C., ricercatrice universitaria, ora vive nel Queens dove, tra l’altro, l’asilo nido costa al mese $900, a differenza dei 3mila e più di Manhattan.

Non saprei dirvi cosa è meglio. Non esiste una risposta univoca, ma credo che vivere nell’isola di Manhattan sia più facile per me e la mia famiglia, abituati ad una vita molto attiva e sociale. Amo la libertà di poter uscire a piedi e raggiungere facilmente ogni punto della città, decidere dove e quando andare, senza una lunga programmazione, mangiare italiano, cinese, spagnolo, asiatico, e parlare francese e spagnolo coi miei vicini internazionali. É un prezzo altissimo che sono disposta a pagare, sacrificando spazio per le mille scarpe, cappotti e vestiti che a volte stanno un po’ tutti stretti, ammucchiati e stropicciati. E allora mi tocca stirare! Ma come si dice, non esiste felicità senza rinunce!

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Miki Zambella

Miki Zambella

Miki Zambella LaSalle è una consulente, connector, e freelance writer. Originaria di Napoli, Miki è arrivata a Manhattan undici anni fa, dopo aver conseguito la laurea magistrale in "Relazioni e Politiche internazionali" presso L'Orientale di Napoli. Vivendo con suo marito Robert, newyorkese, per la maggior parte tra Upper East Side e West Side, Miki vanta un'esperienza lavorativa in diversi settori: finanza, commercio estero, giornalista, risorse umane. Da due anni, lavora indipendentemente come consulente e si diverte a fare la mamma, anche a tempo pieno.

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