A New York la gente si mette in fila volentieri per partecipare a un evento, assistere a uno spettacolo o vedere una mostra. Una fila di persone viene percepita come una garanzia di valore e un segno di successo e popolarità. Quando nei giorni scorsi sono passato davanti a una lunga e ordinata fila di gente che aspettava di entrare al Museo delle Illusioni, ho pensato che fosse una sorta di rivincita di Foscolo e Leopardi, che hanno tormentato con le loro divergenti idee sulle illusioni intere generazioni di studenti che temevano la fatidica domanda all’esame di maturità. Poi ho pensato che fosse un’ennesima prova della genialità newyorkese che non solo era riuscita a catturare le illusioni, che sono per definizione sfuggenti e difficili da definire, ma anche a impacchettarle in un museo e a far pagare un biglietto (caro) per contemplarle.
Ovviamente mi sbagliavo su entrambi i fronti: le illusioni in mostra in questo nuovo museo non hanno niente a che fare con quelle dei nostri poeti romantici. Si tratta infatti di illusioni ottiche, ologrammi, e altri trucchi che ingannano la vista e gli altri sensi. E la genialità newyorkese questa volta non c’entra niente: il Museum of Illusions è infatti una specie di franchising internazionale, iniziato a Zagabria e attualmente presente con quattordici sedi sparse in tutto il mondo.
In queste settimane, a Brooklyn ha anche aperto le porte un Museo della Pizza che non è un vero museo e che con la pizza ha poco a che fare, ma che sta comunque facendo parlare di sé e sta attirando un notevole numero di visitatori. Si tratta di un pop-up, cioè di un’iniziativa a tempo (chiuderà il 19 novembre) in cui la pizza (uno dei piatti più amati dagli americani) è presentata soprattutto come fonte di ispirazione per artisti contemporanei che la rappresentano in quadri, sculture, fotografie, installazioni, fotomontaggi e video. È un concetto simile a quello del Museo del Gelato, fondato a New York nel 2016, trasferito prima a Los Angeles e poi a San Francisco dove è tuttora aperto.
New York è una delle città con la maggiore concentrazione di musei ai più alti livelli in tutti i settori. Sarebbero infatti più di 80 solo quelli principali, una lista che si limita comunque ai musei più accreditati e prestigiosi e non include una miriade di altre istituzioni, forse bizzarre ma non prive di interesse come il Museum of Sex o il Museo dell’ascensore.
E visto che siamo nel mese della cultura italiana, ricordiamo due piccole nostre realtà culturali che meritano un’escursione e una visita. Il Garibaldi Meucci Museum di Staten Island, è una casa-museo: l’edificio infatti è quello in cui il vero e sfortunato inventore del telefono diede ospitalità a Garibaldi, prima che ritornasse in Italia a completarne l’unificazione. A Brooklyn invece si trova l’Enrico Caruso Museum of America, sorto dalla passione e dalla devozione del Commendator Aldo Mancusi che ha trasformato la sua casa in museo per continuare a mantenere viva negli Stati Uniti la memoria del grande tenore napoletano. Oltre a disegni, caricature e memorabilia di Caruso il museo contiene anche una ricca collezione di grammofoni e altri apparecchi per la riproduzione della musica. Due istituzioni benemerite che ci ricordano che non c’è bisogno di grandi spazi e di finanziamenti miliardari per dare un contributo significativo alla vita della città.
I musei di New York non rappresentano solo una crescente attrattiva per il turismo, ma anche una straordinaria risorsa educativa. Una risorsa tale che nel 1993 rese possibile fondare la Museum School, una liceo pubblico, che svolge gran parte del programma scolastico nei musei della città anziché in classe e che oggi è considerato una dei migliori licei degli Stati Uniti.
Ma come contribuiscono alla vita artistica e culturale della città i due musei appena sorti (pizza e illusioni)? Direi poco o niente e non per snobismo culturale o elitismo europeo, ma solo per la vera e dichiarata finalità di entrambi. Sono infatti istituzioni che non hanno come compito principale quello di educare e di informare, ma sono luoghi perfetti per fare da sfondo a selfies e a post per Instagram e per gli altri social media. Senza moralismi, possiamo tranquillamente dire che sono “musei” dove non si va per vedere ma per farsi vedere, non per scoprire, ma per mostrarsi. E infatti gli apparecchi fotografici, tuttora proibiti in molti musei tradizionali sono qui benvenuti e incoraggiati. “Portatevi la macchina fotografica-avverte il sito del Museum of Illusions- e accertatevi che sia ben carica e abbia la memoria libera”.