Molti di noi conoscono la canzone, molto popolare, “We are the world”. E, probabilmente, molti di noi avranno ascoltato questo pezzo in svariate circostanze: in radio, nei video e negli spot commerciali. “We are the world, we are the children, whe are the ones who make a brighter day, so let’s start giving” (“Noi siamo il mondo, siamo i bambini, i ragazzi, quelli che possono rendere il giorno più luminoso, allora, doniamo!”, ndr).
Per la maggior parte scritta da Michael Jackson e da Lionel Richie, la canzone fu registrata da un grande gruppo di musicisti nel 1985. “We are the world” è stato citato per essere il singolo più venduto nella storia americana e della musica pop. Ispirata alla canzone “Do they know it’s Christmas?”, la prima cosiddetta canzone registrata per uno scopo solidale, che riunì un dream team di musicisti socialmente impegnati e filantropi, ha avviato una tradizione tra i personaggi dello spettacolo che suonano insieme per cause legate alla solidarietà. La produzione e la vendita di “We are the world” riuscirono a raggiungere più di 63 milioni di dollari (che equivalgono, oggi, a 138 milioni di dollari), che andarono in aiuti umanitari in Africa e negli Stati Uniti. La tradizione dei “concerti di solidarietà” continua ancora oggi. L’ultima versione del brano è il video “We are the world 25 for Haiti”, prodotto dopo il devastante terremoto che colpí Haiti nel 2010.
Come ci viene ricordato ogni giorno, sono tante le ragioni che ci fanno allarmare per lo stato attuale del mondo. A livello globale osserviamo la minaccia di una guerra nucleare, il terrorismo e la povertà diffusa. Più vicino a noi, ci preoccupiamo di una presidenza assediata, l’immagine offuscata dell’America, le guerre culturali istigate quotidianamente da politici e media. Potremmo pensare che stiamo vivendo un’epoca di violenza e di ostilità senza precedenti, ma è facile sostenere che ogni generazione ha avuto la sua parte di problemi: due guerre mondiali e una serie di guerre cosidette “minori” dovrebbero essere sufficienti a spazzare via qualsiasi visione delirante e nostalgica del passato recente. Inoltre, fin dall’antica Roma, Giovenale scriveva aspre critiche sui problemi che affliggevano la sua società.
Sarebbe fin troppo semplice essere depressi sullo stato del nostro mondo, ma l’umanità è resiliente e la natura ci ha impostato alla sopravvivenza. Il Natale è il miglior momento dell’anno per cercare i lati luminosi che rinnovano la nostra fede negli esseri umani. Al livello individuale non c’è molto che possiamo fare sulla negatività che incontriamo ogni giorno: gli “odiatori”, i nemici, i piagnoni, gli abusivi e i violenti sono ovunque. Ma non per questo ci dobbiamo arrendere a questo fatto, basta pensare invece a coloro che lavorano per migliorare il mondo. Tutto intorno a noi ci sono segni che ci dimostrano che come specie, non siamo poi così disgraziati come ci sembra ogni giorno.
Penso a organizzazioni come l’UNICEF, la cui missione è quella di salvaguardare i diritti dei bambini e l’accesso alla salute, all’educazione e alla sicurezza; a “Smile Train” e a “Operation Smile”, due organizzazioni solidali dove i medici lavorano gratuitamente per cambiare le vite, la salute e le opportunità del futuro di bambini nati in Paesi in via di sviluppo affetti da palatoschisi. Penso a “Doctors Without Borders” (Medici senza frontiere, ndr) che rischiano le loro vite per portare aiuti sanitari ai Paesi devastati dalla guerra. Queste organizzazioni sono state rese possibili grazie alla buona volontà di persone come noi, che forniscono i loro servizi o almeno, il loro supporto finanziario. Alcune di queste persone ispiratrici potrebbero essere i vostri vicini, così come i miei.
Un medico di mia conoscenza, James, avrebbe potuto iniziare la pratica direttamente da una prestigiosa scuola di medicina, invece ha scelto di posticipare l’inizio della sua carriera e ha firmato per un periodo di due anni in “Doctors Without Borders”. Inviato in Afghanistan, ha rischiato la sua vita ed è anche stato ferito. Quando è tornato dalla guerra ha iniziato la sua pratica in un minuscolo studio, con una sala d’aspetto che poteva accogliere soltanto due pazienti alla volta. Medico affermato oggi, continua a svolgere lavoro gratuito. Penso a volontari come uno dei miei ex studenti che, mentre gli amici festeggiano, passa la sua vigilia di capodanno distribuendo cibo ai senzatetto a New York City. Inoltre il Pastore della chiesa luterana locale mi ha raccontato la storia di una famiglia che ha accolto un giovanotto, un perfetto estraneo per loro, perché era stato cacciato dai suoi stessi genitori ed era diventato un senzatetto.

Non abbiamo forse il potere di fare politica governativa o di fermare il riscaldamento globale o di alleviare la povertà su scala mondiale, ma è in nostro potere aiutare i nostri vicini, quelli alla nostra destra e alla nostra sinistra.
Il motto “pensa globale, agisci locale” è un perfetto promemoria che ci fa capire che anche come individui possiamo fare la differenza.
Le feste religiose vengono contestate dal flagello del politicamente corretto, ma “Natale” è il momento perfetto per ricordare questo e per agire. Fai una donazione alla tua associazione benefica preferita, offri i tuoi servizi dove può essere d’aiuto. Ma, per lo meno, sappi che, celebrando il Natale, Hanukah o Kwanza, augurare al tuo vicino salute e felicità non è un’affermazione politica, è un’espressione della buona volontà che dovremmo avere l’uno per l’altro in quanto esseri umani.
“We are the world, we are the children
We are the ones who make a brighter day…
There comes a time when we heed a certain call
When the world must come together as one
There are people dying
And it’s time to lend a hand to life
The greatest gift of all”
Tu e io siamo prossimi, siamo il mondo.
Buon Natale!
(Traduzione dall’inglese a cura di Giovanna Pavesi)