Una volta le “acque” erano il fiore all’occhiello dell’Italia. Tutte le acque: quelle marine, quelle interne e anche quelle che fuoriuscivano dalle numerose sorgenti, le cosiddette acque minerali. Oggi non è più così. I mari che circondano i Belpaese sono sempre più spesso inquinati. Ogni anno fiumi e torrenti si trasformano in macchine di distruzione e riversano fango e detriti su case e paesi e che non avrebbero mai dovuto essere costruiti in quei luoghi. E anche le acque destinate al consumo dei cittadini spesso sono pericolose.
Decenni di cattiva gestione e di atti criminali hanno reso molte falde acquifere inquinate. A volte è la pioggia che, cadendo su terreni contaminati da scarichi industriali fuori legge, va ad inquinare le falde. Altre volte si tratta di cattiva gestione degli impianti di depurazione, altre volte ancora sono le discariche, costruite o gestite male, che lasciano che i rifiuti prodotti in quantità copiosa dai centri urbani finiscano per inquinare.
La normativa europea impone dei limiti per la concentrazione massima di arsenico e di altre sostanze nelle “acque destinate al consumo”. Il Belpaese, però, cosciente dello stato delle acque in molte parti del territorio, ha chiesto numerose deroghe a questa normativa, permettendo la distribuzione di acque di qualità quantomeno dubbia. Deroghe che hanno concesso di innalzare i limiti consentiti per le percentuali di certe sostanze nelle acque distribuite. Acque che non sarebbero “vendibili” o atte al consumo, ma che grazie alla deroga lo diventano.
E quando la situazione degenera e le condizioni delle acque diventano “troppo” pericolose, spesso gli interventi si limitano ad avvertire la popolazione che è bene “limitare” l’uso dell’acqua, liberandosi in questo modo da ogni responsabilità legale. Come nel caso di Milano dove, qualche mese fa, a Bresso, i tecnici dell’Asl hanno lanciato l’allarme a causa dei diversi casi di legionella che si sono presentati (tutti nel giro di pochi giorni, tutti oltre i 70 anni e tutti abitanti nella zona di Milano). Ma il problema non riguarda solo l’interland milanese: in Italia la legionella colpisce ogni anno circa 1.300 persone. E uno dei canali attraverso i quali più facilmente si diffonde il batterio è proprio l’acqua.
Il problema “acqua” non è limitato ad una sola falda o ad un solo territorio: è esteso a macchia di leopardo in tutta Italia. In Abruzzo, dove nel fiume Saline sono stati trovati pesci con mutazioni genetiche dovute probabilmente all’inquinamento della falda acquifera derivante da decenni d’incuria e mancanza di interventi e controlli.
Secondo Gianluca Millillo, tecnico ambientale e giornalista di riviste scientifiche, “la falda acquifera è compromessa”. Come nel Lazio, dove le falde acquifere di Borgo Montello sono inquinate a causa della cattiva gestione della discarica. Conferma Tomaso Munari, professore universitario di Genova, che ha depositato una perizia commissionata dal giudice Guido Marcelli: “E’ possibile ritenere che esista un loro contributo effettivo nel deterioramento dello stato generale delle acque sotterranee. […] Dalla verifica documentale nonché dai riscontri di campo, è emerso che le opere di bonifica, segnatamente il ‘polder’ di cinturazione delle discariche, non sono state né correttamente realizzate, né idoneamente collaudate, né dotate di presidi funzionali al monitoraggio ambientale delle stesse”.
Lo stesso è avvenuto a Catanzaro dove i Nas hanno addirittura notificato avvisi di garanzia a sette funzionari della Regione Calabria e a tre dirigenti di società per aver distribuito acqua non potabile prelevata dall'invaso Alaco, tra le province di Vibo Valentia e Catanzaro.
L’elenco dei Comuni e delle falde acquifere inquinate o i cui valori sono al di sopra di quelli previsti dalla legge è lunghissimo. Molte volte, però, lo Stato pensa sia più facile concedere “deroghe” alla legge, invece che promuovere interventi risolutori. Deroghe sui parametri di potabilità delle acque (arsenico, boro, cloriti, cloruri, fluoro, magnesio, nichel, nitrati, selenio, solfato, trialometani, tricloroetilene, vanadio): sono molte le Regioni italiane che, negli ultimi anni, hanno ottenuto deroghe per consentire l’utilizzo dell’acqua (Campania, Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Trentino Alto Adige, Umbria, Veneto) oltre le province autonome di Bolzano e Trento. Tutte accomunate dalla solita “clausola di salvaguardia” che tutela lo Stato e lo rende libero da ogni responsabilità.
È sufficiente che Regioni e Comuni avvisino “tempestivamente e adeguatamente” la cittadinanza delle deroghe alla potabilità per “elevate concentrazioni dei valori delle sostanze nell’acqua erogata quale che ne sia l’utilizzo, compreso quello per la produzione,preparazione o trattamento degli alimenti e del divieto del consumo potabile”.
Nonostante ciò, stando ai controlli, sarebbero ben cinque le Regioni italiane (per un totale di ben 128 Comuni) che rischiano seriamente di restare all’asciutto: Lazio (con 91 città), Toscana (16), Trentino (10), Lombardia (8) e Umbria (3). In tutti questi Comuni è stato riscontato un valore massimo di 50 microgrammi di arsenico per litro (il massimo stabilito dalla normativa in vigore dovrebbe essere di 10 microgrammi per litro).
Se non possono utilizzare l’acqua delle condotte pubbliche, i cittadini almeno potranno ricorrere all’acqua venduta in bottiglia (e a caro prezzo). Non a caso, l'Italia occupa una delle prime posizioni al mondo per consumo pro capite di acqua minerale. Anche questa, però, potrebbe non essere sempre salutare: nel 2010, la rivista Le Scienze ha pubblicato i risultati di uno studio condotto nell’ambito del progetto Atlante Europeo dell’EuroGeoSurveys Geochemistry Expert Group. I risultati mostravano che molte acque minerali (prelevate da fonti in varie Regioni d’Italia) contenevano quantità di diverse sostanze oltre i limiti consentiti.
Ma quello che molti non sanno è che i cittadini (anche quelli che non hanno potuto bere a causa della cattiva gestione dei pubblici amministratori), potrebbero essere costretti a pagare una multa: lo scorso anno, il commissario Ue per l’Ambiente ha inviato un “avvertimento finale” all’Italia in cui viene contestata l’incapacità “di garantire che l’acqua destinata al consumo umano sia conforme alle norme europee”, pur avendo ricevuto già tre avvertimenti per metterci a norma.
Qualche settimana fa il Premier, Matteo Renzi, nel discorso conclusivo del semestre di presidenza italiano a Strasburgo si è sforzato di trovare un dato che fosse un primato del Belpaese. Forse avrebbe potuto usare questo: l’Italia è prima in Europa per emissioni di arsenico, cadmio, mercurio e perfino cianuro nell’acqua destinata alla potabilità (almeno stando all’European pollutant release and transfer register, un registro delle emissioni inquinanti prodotte dalle varie industrie europee). Un “primato” di cui è difficile vantarsi…