Il miglior colpo di Sinner? È la mentalità vincente. Sono due, forse tre e non di più quelli che come lui danno il meglio nei momenti che pesano durante la partita. Dice Tommy Paul, l’americano sconfitto negli ottavi dell’US Open: “Ha giocato un tennis super veloce. È irreale come spinge la palla, è il miglior colpitore del circuito e ha una straordinaria qualità nel gioco. Ma soprattutto ha un talento che appartiene ai più grandi: sa fare la differenza nei punti importanti, aggrappandosi al servizio oppure scegliendo il modo migliore di impostare lo scambio”. Tutto si allena, tutto va preparato quotidianamente. Anche la forza mentale. Che sul campo si traduce in equilibrio e serenità interiore. Ha raccontato Jannik in un’intervista a L’Equipe: “Ho imparato a nascondere le emozioni per non dare vantaggi al mio avversario. Il tennis è come il poker: devi mostrarti imperturbabile. Una volta ero più nervoso in campo, poi ho cominciato a capire il funzionamento del cervello e mi sono sentito meglio”.
Senza la testa che ha, Sinner non avrebbe resistito ai tormenti dell’inchiesta sul doping. Mesi d’inferno e di incertezza, in silenzio, con la consapevolezza di aver osservato le regole e il timore di venire squalificato. “La contaminazione della sostanza vietata è stata accidentale, non ci sono stati né dolo né colpa”, ha stabilito la sentenza d’archiviazione. Eppure il venticello della calunnia, del sospetto e delle insinuazioni è filtrato dagli spogliatoi. “Ora so chi sono gli amici e i nemici”, ha tagliato corto Jan. Finché ieri è arrivata la dichiarazione a discarico di un autorevole giudice di Cassazione: Rafa Nadal. “Io ho una virtù o forse un difetto — s’è pronunciato in una intervista televisiva — che è credere nella buona fede. Conosco Sinner e non credo assolutamente che abbia voluto doparsi. La giustizia è la giustizia, non deve piacerci solo quando decide nel modo in cui la pensiamo noi. Se i giudici non lo hanno sanzionato, è perché esaminando il caso hanno visto chiaramente che quanto è successo non era punibile. Non credo che perché sei Sinner ti assolvono, mentre se sei un altro ti castigano. L’opinione altrui è rispettabile, però io la penso così”.
Meno difensivo l’intervento di Roger Federer sulle pagine di Today: “È l’incubo di ogni atleta e squadra avere un’accusa di doping. Vive con te. La mattina ti svegli e pensi: c’è qualcuno alla porta che viene a mettermi alla prova? È davvero difficile”. E inoltre: “Penso che siamo tutti abbastanza convinti che Jannik non abbia fatto nulla, ma c’è un’incoerenza potenziale nel fatto che ha continuato a giocare mentre non erano sicuri al cento per cento di cosa stesse succedendo. Capisco perciò la frustrazione di chi chiede: è stato trattato come gli altri? È una domanda a cui va data risposta”. Va ricordato che Sinner è stato sospeso a titolo cautelativo, ma l’accoglimento del ricorso presentato dai suoi legali nel termine perentorio di cinque giorni l’ha rimesso in gioco. La vicenda è stata resa pubblica solo all’atto del verdetto, nella piena garanzia del giocatore.
Passata la tempesta, Jannik è tornato a giocare libero da pesi extra campo. Brillano le sue doti naturali: o ce l’hai o non ce l’hai, sono innate. Il resto però si continua a costruire, perfezionare, limare. Anche la padronanza di sé e i tempi di reazione, che vengono migliorati con esercizi uguali a quelli dei piloti di Formula Uno al simulatore: “Faccio l’esempio — spiega il fuoriclasse di San Candido — del test vero-falso. Va effettuato il più velocemente possibile e una fascia attorno alla testa calcola la percentuale del cervello utilizzata. Di volta in volta il tempo di reazione si abbassa perché il riflesso diventa un automatismo: è questione di esercizio, come per i muscoli”. Così l’altoatesino ha aumentato in maniera esponenziale le percentuali nel tiebreak, dove il controllo delle emozioni diventa ancor più fondamentale. Negli ultimi dodici mesi Sinner ne ha vinti 18 su 24 disputati, con una media del 75 per cento: dato eccezionale se si pensa che la stagione scorsa, a New York di questi tempi, la statistica era 7 su 15. La sfida con Berrettini a Wimbledon — tre tiebreak conquistati ai danni di uno specialista dal servizio bomba — è la dimostrazione lampante di quanto il fuoriclasse azzurro sia cresciuto sotto il profilo psicologico. Non stupisce quindi che abbia costretto alla resa Paul in quel modo, l’altra notte nell’Arthur Ashe stadium.
“Mi piace molto — rivela Jannik — giocare i punti importanti nei momenti importanti, è eccitante ed è ciò per cui lavoriamo così duramente. So che in certi frangenti c’è bisogno di abbandonare quello che hai preparato: cambiare un dettaglio è utile a sorprendere l’avversario ed è un aspetto che vale per ogni momento topico della partita. Se sei avanti 6-5, puoi permetterti di essere un po’ più aggressivo in risposta, perché male che vada hai il tiebreak davanti e puoi rimediare. In quella situazione devi riuscire a servire in maniera un po’ più intelligente: non l’ho fatto benissimo contro Paul alla fine del secondo set, ma ho trovato comunque una soluzione. I tiebreak possono andare da tutte e due le parti. Ci sono stati periodi in cui ne perdevo tanti: ora le cose sono cambiate, si impara sempre qualcosa di nuovo. Vengo dallo sci e lì quando fai un errore la gara è finita. Nel tennis è differente”.
C’è una speciale classifica del circus che si chiama Under Pressure Rating: calcola la capacità di ogni tennista nel portare a casa i punti fondamentali. Funziona così. La graduatoria attribuisce al giocatore un punteggio che si ottiene sommando la percentuale di palle break convertite e salvate, la percentuale di tiebreak conquistati e la percentuale di set decisivi vinti. Insomma si tiene conto di tutti i momenti in cui la racchetta pesa il doppio: non basta saper servire bene o eseguire una volée da manuale, bisogna avere la forza e il coraggio di farlo quando è questione di vita o di morte nelle pieghe della partita. Il suo coefficiente nei cosiddetti pressure points sfiora quota 250: tradotto vuol dire che Sinner è una specie un mostro, quasi infallibile nei frangenti cruciali. Lui però minimizza. “Non sono affatto un fenomeno sotto pressione. La mia non è niente in confronto a quella di un chirurgo o di un capofamiglia che deve mettere in tavola la cena. Quella è pressione vera. Giocare a tennis è un privilegio, un piacere di cui sentirsi onorati”. Capito?
Resta il fatto che il faccia a faccia di domani sera con Medvedev sarà un gioco di specchi tra cervelli raffinati. “Affrontare Daniil è sempre una sfida complicata, ma a me piacciono le sfide. Vedremo a che punto sono. Io e lui ci conosciamo bene, sarà una partita fisica ma molto tattica: dovrò ragionare punto su punto”. Wonder Boy e Dostoevskij, lo sciatore e lo scacchista. Si sono affrontati dodici volte e il russo conduce 7 a 5: ha perso gli Open d’Australia in cinque set a gennaio, si è preso la rivincita nei Championships in cinque set a luglio. Potrebbe essere una finale anticipata, con il permesso degli altri rimasti gara: i valori sono livellati. E con l’uscita precoce di Djokovic e Alcaraz tutto può succedere.