Jannik va a servire sul 5-4, in vantaggio di due set a uno. Già nel game precedente era arrivato a un passo dal traguardo, senza riuscire a oltrepassarlo. Ma questo è il momento. Non c’è tempo per pensare alla beffa di Parigi, non c’è tempo per null’altro che questo ultimo sforzo da vivere con il cuore in gola. Si mette alle spalle ansia e tensione. Finalmente sale tutto per lui il coro della folla, che nei momenti cruciali aveva incoraggiato Alcaraz perché lo show andasse avanti. Si parte. Uno scambio mozzafiato a velocità folle, Sinner spinge e spinge finché l’avversario sbaglia: è il primo quindici, ne servono altri tre. Batte una prima concreta, quindi accelera con il rovescio lungolinea che l’ha sorretto nei momenti difficili. Trenta a zero, a due punti dal paradiso. Entra ancora la prima, dritto in uscita e attacco in controtempo: volée precisa ma non conclusiva, Carlitos rimanda la palla di là. Jan è pronto, il piatto corde assorbe il passante e lo trasforma in vincente: 40-0. Tre match point. Ci siamo.
Alcaraz accorcia lo svantaggio aprendo l’angolo in risposta, c’è sempre da soffrire. Sinner è sulla piazzola di tiro, si concentra, pulisce il mirino, mette a fuoco la lente e spara: la palla atterra sulla riga, si alza la nuvola di gesso e lo spagnolo si arrende. Gioco, partita, incontro. Per la prima volta un italiano trionfa a Wimbledon, la data da segnare negli annali è 13 luglio 2025: non era mai accaduto nella storia gloriosa dei Championships cominciata nel 1877. Più o meno un secolo e mezzo fa. È stata una partita magnifica, com’era nelle aspettative: 4-6, 6-4, 6-4, 6-4 lo score. Eppure era cominciata in salita per l’azzurro, costretto a rimontare un primo set lasciato per strada quando pareva già tra le sue mani, indirizzato dal break messo a segno nel quinto gioco. Un allungo importante, non decisivo. La reazione di Carletto, sotto 4-2, è stata furente: ha agganciato il rivale, l’ha superato, l’ha aggredito piazzando un 6-4 tanto bello quanto spietato.

Serviva una personalità gigantesca per fronteggiare la delusione. Il ragazzo di granito ha alzato subito la voce, strappando la battuta allo spagnolo all’inizio della seconda frazione: 1-0. Non solo. Ha resistito al ritorno di Alcaraz, cancellando l’occasione del controbreak. Intendiamoci, Jannik non è stato impeccabile. La prima di servizio latitante, un paio di errori marchiani sotto rete, qualche stecca con il dritto spedito in tribuna. “Stai facendo quello che devi fare, avanti”, l’ha incitato il coach Vagnozzi dal box. Un bel pezzo del match s’è giocato in quell’attimo, sottolineato dall’altro allenatore Cahill saltato in piedi a sostenerlo. Sinner ha tenuto duro. Ha avuto la palla per scavare un solco robusto senza trasformarla, mentre Carlos continuava a martellare con la prima di servizio per ricucire lo strappo. Non c’è riuscito. Sul 5-4, Wonder Boy ha tirato fuori due gioielli. Un dritto fulminante lungolinea, un cross strettissimo a tagliare l’aria: 6-4 e palla al centro, il punteggio tornato in equilibrio. Splendore sull’erba.
Pian piano, sulla scia del successo parziale, tutte le tessere del mosaico sono andate a posto. Il servizio sparito – il primo ace è arrivato solo dopo un’ora e tre quarti – è improvvisamente riapparso dandogli consapevolezza e fiducia. Soprattutto ha cominciato a colpire duro in progressione come da copione, scavando una breccia nella difesa di Alcaraz. “E’ più forte di me da fondo campo”, ha urlato al suo team Carlitos sotto assedio, l’aria sconsolata di chi non trova la chiave della cassaforte. “Lascia andare il braccio”, è stata la risposta. Era l’ultima risorsa: affidarsi all’istinto, tirare a tutta velocità mettendo nel cassetto la tattica preparata a tavolino. Non è servito granché. Jan ha preso il sopravvento, pur senza schiodare il punteggio dalla parità. Finché altri due colpi miracolosi gli hanno fruttato il break, prologo al 6-4 del sorpasso.

Ormai l’inerzia della sfida era segnata. Sinner ha aspettato pazientemente l’attimo propizio nel quarto set, è scappato 3-1, poi 4-3 con il servizio a disposizione. Il match s’è deciso lì. Perché il murciano ha avuto una doppia opportunità per il pareggio, annullata con temerario coraggio dalla Volpe Rossa: una seconda incisiva, un ace alla T sempre con la seconda. Massimo rischio, massimo rendimento. Quell’ultimo game sul 5-4 è già storia, albo d’oro, cineteca. Dopo tre ore e quattro minuti di gioco straordinario, braccia al cielo, Jannik ha consolato il rivale alla stretta di mano. Quindi s’è arrampicato sui gradini della tribuna per raggiungere i suoi: papà Hanspeter, mamma Siglinde, il fratello Mark. Poi l’abbraccio collettivo, interminabile, con la squadra: Simone Vagnozzi, Darren Cahill, il manager e amico di sempre Alex Vittur. Felicità, compostezza, misura, stile. La cifra di un fenomeno che non smette di emozionarci.