Colpi di scena e brividi, mai visto un match così. Sinner si fa male scivolando sull’erba nel primo game, ci mette due set (persi) e spiccioli per cercare di andare oltre il gomito dolente, ma imprevedibilmente è Dimitrov a ritirarsi all’inizio della terza frazione. La causa è una fitta improvvisa al pettorale destro: una scarica elettrica, la lancia conficcata nel costato. E’ la quinta volta di fila in un torneo Slam che la sfortuna lo colpisce a tradimento, costringendolo all’abbandono. Un record negativo spaventoso. Il muscolo che si strappa fa male, fa molto male, servono mesi per guarire. E la sofferenza è ancor più grande se stai giocando la partita perfetta, sul campo centrale di Wimbledon, davanti al numero uno del mondo.
E’ stato un ottavo di finale della mutua, che ha lasciato il pubblico a bocca aperta. “Non mi sento vincitore”, ha chiosato a caldo Jannik nel post partita, impressionato e partecipe dell’infortunio patito dal bulgaro. L’ha aiutato a sollevarsi da terra, gli ha rimesso asciugamani e racchette nella borsa, l’ha accompagnato sostenendolo e consolandolo verso gli spogliatoi: “Siamo buoni amici, Grigor è un giocatore fantastico e molto sfortunato”. Conoscendo il ragazzo meraviglia, il rammarico è sincero. La paura e il dolore non vengono mai compensati da un successo che arriva in questo modo. Anche perché Dimitrov ha dettato legge in campo per novanta minuti, dominati in lungo e in largo. Superiore in tutto, ha schiacciato Sinner in un angolo costringendolo a ripetuti errori gratuiti. Certo anche la remora mentale ha pesato. Il fuoriclasse altoatesino non è riuscito a togliersi dalla testa il problema al gomito, malgrado il massaggio del fisioterapista e le pillole di antidolorifico ingoiate durante il time out medico. La gravità dell’infortunio – semplice contusione o, peggio, un trauma distorsivo – andrà valutata in fretta: il quarto di finale, contro un bomber del calibro di Shelton, va affrontato nelle migliori condizioni possibili. Evitando guai di lunga durata, costi quel che costi.

Con tali premesse, raccontare la sfida diventa complicato. Certo il tennis vintage del bulgaro, con quel rovescio a una mano, ha incantato il pubblico: un po’ com’era successo per Fabio Fognini che ha messo in crisi Alcaraz. Esistono ancora nel circuito dei vecchi ragazzi che giocano in maniera desueta, creando difficoltà inedite ai giovanotti terribili. Mosche bianche, le rimpiangeremo. Dimitrov ha servito alla grande, ha lavorato meravigliosamente con il rovescio slice, è venuto a rete sfidando senza timore il passante di Jannik. E ha chiuso gli scambi con volée e mezze volate di velluto, i ricami del suo repertorio stilistico unico. Gesti bianchi che paradossalmente gli sono pesati in carriera, perché finiti nell’imbuto di un soprannome ingombrante: Piccolo Federer.
Professionista dal 2008, è arrivato nel tour con il marchio di predestinato dopo aver vinto da junior Wimbledon e gli US Open. Non che abbia tradito le promesse: nel 2017, l’anno di grazia, è arrivato al numero tre della classifica mettendo in bacheca il Master 1000 di Cincinnati e le Finals. Ciò nonostante, una lettura superficiale l’ha relegato a magnifica incompiuta: un quasi campione. Niente di più sbagliato. L’ennesima riprova è arrivata oggi. Dimitrov ha schiacciato la Volpe Rossa rubandogli il tempo in attacco e difendendo con risposte bloccate che pochi sanno fare. E’ arrivato così il 6-3 sigillato con l’ennesimo servizio vincente.
Chi si attendeva una reazione immediata di Sinner nel secondo set è rimasto spiazzato. Grigor ha insistito nel pressing, prendendosi subito il break a zero. Poi è filato via 5-4, ma nel momento cruciale Jan ha tirato finalmente un paio di vincenti di puro orgoglio, riaprendo la fazione sul 5-5: controbreak e ruggito liberatorio rivolto verso il box. E’ stata un’illusione momentanea. Il bulgaro ha continuato a spingere senza fare una piega, si è ripreso il vantaggio immediatamente e ha chiuso 7-5. Quante volte Sinner ha rimontato in uno Slam lo svantaggio di due set? Era accaduto solo in Australia nel 2023 (contro Fucsovic) e nel 2024 (la finale vinta con Medvedev). Insomma sarebbe servita un’impresa per portare a casa l’incontro.
Dopo una pausa di 13 minuti per chiudere il tetto, il terzo set è partito seguendo i turni di servizio. Finché è avvenuto il patatrac. Dimitrov, indietro 2-1, ha servito il suo quindicesimo ace pareggiando il conto. E nello stesso momento s’è accasciato sul prato con un urlo di dolore, toccandosi il petto all’altezza dell’ascella destra. C’è voluto poco a capire l’entità del danno. Grigor ha stretto gli occhi con indice e pollice, per nascondere le lacrime. E’ uscito dal centrale, per rientrare dopo un paio di minuti salutando avversario, arbitro e pubblico tra gli applausi. Sipario.