Spalle al muro, un’altra volta. Dopo un pessimo Europeo, la nazionale italiana di calcio ora è seriamente a rischio di rimanere a casa dal terzo mondiale consecutivo. La Norvegia, con il 3-0 sugli azzurri, è lanciatissima verso il primo posto: l’Italia dovrà centrare almeno il secondo posto e poi guadagnarsi il Mondiale in America e Canada della prossima estate tramite il playoff. Uno scenario da brividi, ma quasi una passeggiata pensando alla baraonda azzurra di queste ore: l’esonero di Luciano Spalletti tra Norvegia e Moldavia, con il c.t. lasciato solo in conferenza a comunicarlo alla vigilia di una partita importante e in uno scenario surreale, poi la corsa al sostituto – che evidentemente non era pronto – passata dai no di Ranieri e Pioli, fino a pescare dal serbatoio dei campioni del mondo 2006 finendo per arrivare probabilmente a Rino Gattuso.
Ma come si è arrivati qui? Innanzitutto, questa è la disasterclass assoluta di Gabriele Gravina, presidente dal 2018: avrebbe dovuto dimettersi già dopo l’altro mondiale mancato (il criticatissimo Tavecchio, ora scomparso, almeno lo fece), invece è rimasto sulla plancia di comando, poi confermato a suon di voti, mentre il Titanic Italia si inabissava. Luciano Spalletti non si è rivelato l’uomo giusto per risollevarne le sorti: troppo allenatore da club, mentre fare il selezionatore è un lavoro completamente diverso. Incontri i ragazzi ogni 2-3 mesi, li alleni dieci giorni poi tornano ai club: serve empatia, entrare nelle loro menti in poco tempo. Spalletti, anche per carattere, non è uno così. Una volta c’erano i tecnici federali, da Azeglio Vicini a Cesare Maldini, ma l’impressione è che oggi la Figc faccia davvero fatica a creare pure quelli, di livello.
Ma la crisi maggiore riguarda il talento: i calciatori di alto livello in questa generazione si contano sulle dita di una mano. Se fino a venti o trent’anni fa c’era da scegliere tra Baggio, Totti o Del Piero, tra Vieri, Inzaghi e Montella, ora si fa fatica a mettere insieme 23 chiamate decenti. Anche perché gli azzurrabili in A sono sempre meno e spesso la Nazionale viene percepita come un fastidio nel percorso stagionale dei club, e allora via con certificati medici, dolorini, assenze. C’è una cosa che ha detto l’altra sera Andrea Stramaccioni che mi trova incredibilmente d’accordo: in questa generazione non c’è il sacro rifiuto della sconfitta che animava alcune generazioni azzurre passate. Ben più talentuose, certo. Ma in campo l’amor proprio serve sempre, altrimenti arrivano i 3-0 come in Norvegia. O altre sconfitte roboanti viste di recente con i club. Forse non è un caso che l’ultimo gruppo azzurro in grado di fare bene sia stato quello dell’Europeo 2021, che aveva al suo interno come straordinario collante umano il povero Gianluca Vialli nello staff di Roberto Mancini.
Detto dei giocatori e del c.t. inadatto, però, il vero focus è la Federcalcio. Gabriele Gravina ne è presidente da ormai sette anni, ha retto a un’eliminazione dal mondiale (contrariamente al predecessore) fregiandosi dell’Europeo vinto, salvo poi cannare l’edizione successiva della rassegna continentale. Ma va sottolineato che la crisi di talento azzurra è quasi il meno: il calcio italiano continua a produrre perdite, a essere vecchio, in un contesto dove le strutture non vengono mai ammodernate (citofonare stadi vetusti) e dove si insiste su cento squadre professionistiche che il sistema non regge. La serie C ogni anno è un cimitero di club, tra stipendi non pagati, società che saltano a stagione in corso o al termine dell’anno, situazioni già note a ottobre-novembre – se non prima – che poi puntualmente deflagrano: quest’anno il punto più alto è stato vedere la Spal e la Lucchese (praticamente saltata da mesi, onore totale ad allenatore e giocatori per come hanno retto) vincere i playout e salvarsi dalla retrocessione in D salvo poi non iscriversi al campionato due settimane dopo. Un caos ad ogni livello – anche in serie B più di qualcosa è successo – di cui il presidente federale dovrebbe rispondere, invece di restare comodamente al suo posto da anni.
Per tutto questo, alla fine, ritengo che lo sfacelo recente della nazionale non sia altro che l’espressione di un movimento vecchio e stantio: non a caso le due federazioni sportive che fanno peggio in Italia, calcio e basket, sono in mano a due ultrasettantenni, Gravina e Petrucci. E quando sento che al Coni si starebbe candidando Franco Carraro, 85 anni (senza dimenticare il coinvolgimento in Calciopoli che portò a squalifica e multa), mi viene una pelle d’oca alta due dita. Detto ciò, c’è un Mondiale da centrare per non arrivare all’onta massima della terza esclusione di fila: se, come pare, sarà Gattuso, il pedigree non è esaltante ma va anche detto che l’ex centrocampista del Milan si è spesso infilato in situazioni complesse, a volte persino al limite del fallimento dei rispettivi club. E, come già detto, fare il selezionatore è diverso rispetto ad allenare day by day: può funzionare? Non lo escludo, sicuramente l’empatia con i giocatori la può avere, così come può dare un po’ di quella grinta che – salvo poche eccezioni – nel gruppo attuale non vedo. Non è la prima scelta (era Ranieri, al quale peraltro è stata scatenata contro una campagna di stampa decisamente poco signorile dopo un no più che comprensibile), non è la seconda, ma visto che l’Italia in questo momento è una piccola d’Europa, serve un po’ di pragmatismo. E magari Gattuso, uno abituato a mangiare pane duro fin da ragazzino per arrivare al massimo livello, può portarne in una Figc che pare sempre più disastrata. In bocca al lupo.