Se, se, se, se, se. E ancora se. Sei volte se. Se Jannik, due set avanti e un break di vantaggio nel terzo, non avesse perso il servizio. Se venti minuti più tardi non avesse ceduto a zero il game del possibile 5-5, rimettendo in corsa Alcaraz. Se avesse trasformato uno dei tre match point sul 5-3 nel quarto set. Se subito dopo, sul 5-4, non avesse smarrito il turno di battuta che gli avrebbe consegnato la Coppa dei Moschettieri. Se nel tiebreak lo spagnolo non avesse piazzato due ace consecutivi. E infine: se sul 6-5 e 30-15 nel quinto, quel demonio di Carlitos non avesse salvato non si sa come la palla da vita o morte.
La sfida tra Alcaraz e Sinner è stata una finale epica. Forse la più bella, certo la più lunga nella storia del Roland Garros: 5 ore e 29 minuti, decisa dal super tiebreak. Cinque milioni di telespettatori italiani (audience record) hanno visto il match in chiaro senza perdere un colpo, hanno gioito e pianto, sono andati a letto incazzati con il pubblico francese che tifava per il murciano. E non hanno dormito pensando alle occasioni svanite nella sera di Parigi. Hanno visto e rivisto l’incubo di quei tre maledetti punti, i punti del Campionato del mondo su terra battuta che avrebbe fatto della domenica una festa popolare. Tre errori: un dritto lungo, una risposta di rovescio out, un dritto in rete. Il sogno in pezzi. Dura da digerire, ma è andata così e non c’è niente da fare. E’ il tennis, bellezza: lo sport del Diavolo.
Resta la terribile bellezza di un gioco unico. Si vince o si perde, senza doversi mai sentire vincenti o perdenti: la doppia parte in commedia è appartenuta almeno una volta al campione come al gregario. Ragion per cui dopo sei anni ancora ragioniamo sui due match point sciupati da Roger al servizio, nell’infinita finale di Wimbledon acciuffata da Nole nel 2019. Allo stesso modo ci sentiamo ricchi rievocando i tre match point cancellati da Jannik al Djoker nella sfida di Malaga, novembre 2023, quando la Davis tornò finalmente in Italia. La lista è sterminata. C’è chi racconta il tiebreak fra Borg e McEnroe sull’erba di Church Road, 5 luglio 1980: un 18-16 entrato nel mito. O tira fuori la grande beffa architettata da Michelino Chang, che nel 1989 proprio sul Philippe Chatrier fece impazzire Ivan Lendl tra servizi da sotto e banane sbucciate: una delle più irreali finali di sempre.
Il corpo a corpo tra Jan e Carlos è già storia, evoca la gloria senza tempo dei gesti bianchi. Così nel Belpaese il giorno dopo si parla poco di Spalletti esonerato e della Nazionale di calcio, pochino del mancato quorum sui referendum, moltissimo del Roland Garros. I quotidiani generalisti hanno piazzato una grande foto dei campionissimi in prima pagina. Atto dovuto. “Ci sono tre vincitori a Parigi: Alcaraz, Sinner e il tennis”, ha commentato Federer su Instagram. “Che finale pazzesca”, ha postato Rafa Nadal. Commovente il messaggio di Rod Laver, australiano, 87 anni fra due mesi, l’unico giocatore ad aver completato due volte il Grande Slam: “Sono così felice per Carlos, ma il mio cuore va a Jannik Sinner che ha mostrato vera classe nella sconfitta. Grazie a entrambi, il tennis è in ottime mani”. Sulla stessa linea Billie Jean King, altra icona della racchetta: “Match epico di proporzioni cinematografiche”.
Senza mezzi termini Adriano Panatta: “La partita più bella che abbia mai visto, sono due fenomeni speciali”. E poi c’è la lettera emozionante di Simone Vagnozzi, uno dei due coach del Wonder Boy. “Sono queste le partite che definiscono chi sei. Ieri hai mostrato al mondo non solo il tuo tennis ma anche un cuore e una resilienza da numero uno. Il Paese è fiero di te, io ancora di più: essere al tuo fianco non è solo un onore ma una responsabilità, che porto con fierezza”. E’ in fondo questa la forza di Sinner. Oltre tutti i se, se, se, se, se. E ancora se. Il suo If sempre e comunque.
Se riuscirai a sognare, senza fare del sogno il tuo padrone / Se riuscirai a pensare, senza fare del pensiero il tuo scopo / Se saprai confrontarti con Trionfo e Rovina / E trattare allo stesso modo questi due impostori / Tua sarà la Terra e tutto ciò che è in essa / E – quel che più conta – sarai un Uomo, figlio mio!