Un epilogo terribile, ingiusto, doloroso. Perfino spietato. Sinner è arrivato a un centimetro dalla Coppa dei Moschettieri, l’ha toccata, non è riuscito ad agguantarla: il re di Francia è Alcaraz, un grande re che è tale per la seconda volta di fila. Si porta a casa, ad appena 22 anni, iI quinto Slam e una sensazione indimenticabile di pura felicità. È stata la finale più lunga della storia al Roland Garros, finita 4-6, 6-7, 6-4, 7-6, 7-6 dopo cinque ore e 29 minuti di emozionanti montagne russe. Certamente una delle più belle. Illuminata dal fantastico talento e dalla giovinezza dei protagonisti, venuti da un altro mondo: uno soltanto vince e stavolta tocca allo spagnolo festeggiare. “Non dormirò bene questa notte”, ha detto Jannik con la solita sportività e un sorriso triste sul palco, composto nella delusione atroce. Ringraziando uno per uno chi partecipa all’organizzazione. Innanzitutto però s’è congratulato lealmente con l’avversario formidabile: “Abbiamo giocato una partita fantastica insieme, il lavoro fatto dai nostri team per arrivare qui è enorme”
Come si fa a raccontare passo passo un film interminabile, un romanzo di 500 pagine, una serie tivù in cento puntate? Nelle pieghe mutevoli del match ci sono stati come sempre accade i passaggi chiave, le porte girevoli che spostano il risultato ora qui, ora là. Il più eclatante si è verificato nel quarto set, quando sul 5-3 in suo favore Sinner ha avuto a disposizione tre match point. D’accordo, batteva Carlitos. Ma in quel momento il rivale colpiva alternando piuma e ferro: il dritto ciclonico, il rovescio lungolinea e la palla corta che era carezza ricamata, estratta dal cilindro dopo l’ennesimo scambio alla velocità della luce. Wonder Boy ce l’aveva in pugno. Ha messo a fuoco il mirino sul telaio della racchetta e ha premuto il grilletto a colpo sicuro. Eppure ha sbagliato. Tre volte.

Chissà per quanto ancora lo perseguiterà quella scena che non avrebbe mai voluto vivere. Dovrà farsene una ragione e del resto il tennis ha leggi misteriose che non puoi controllare. La sua forza sarà andare oltre. Dimenticare lo choc, dimenticare il tiebreak evaporato nel quarto set e il supertiebreak dominato da Alcaraz. Si aggrapperà alla reazione da fuoriclasse che l’ha rimesso in corsa nell’ultimo metro, fino al 6-5 insperato, a due piccolissimi punti dalla vittoria. La parola d’ordine sarà archiviare il danno e ricominciare il percorso: ci sarà un tempo per rivedere alla moviola gli attimi fuggenti, appuntarli sulla lavagna, ripercorrerli nella sofferenza di quel che è stato e non si cambia. Affinché non si ripetano. Jan può ripartire dai primi due set esemplari. Nel primo ha rimediato in fretta al break patito in avvio, agganciando e sorpassando il rivale sul traguardo. Nel secondo è scappato via 5-2, senza però riuscire a chiudere la pratica: la reazione di Alcaraz ha pareggiato il conto, trascinando la frazione al tiebreak. Lì è di nuovo venuto fuori l’azzurro con autorevolezza, classe e determinazione.
In quel momento pochi avrebbero scommesso sul murciano. In grado sì di ribaltare il tavolo quando alza vertiginosamente i giri del motore, però stavolta aveva di fronte Jannik. Cioè il numero uno del mondo. In quel frangente l’altoatesino è stato inarrestabile. Forte del break immediato nella terza frazione, pareva avviato a un successo perentorio. Ma era solo un miraggio. Alcaraz è risalito orgogliosamente, scappando fino al 5-2. Poi ha accusato il ritorno dell’avversario che ha riaperto i giochi per un momento. Fatica vana, il set è comunque volato via in casa Spagna.

Così la sfida è diventata ancor più totale: fisica, tecnica, mentale. Giocata con una playstation impazzita e logorante come una partita a scacchi in movimento. Un duello all’arma bianca vissuto in ogni angolo del campo, totalmente imprevedibile. La purezza e la violenza dei gesti ha incantato gli spettatori planetari, gli altri eroi moderni del gioco e le vecchie glorie in tribuna. Esercizio di stile e rissa da saloon insieme. Da una parte il virtuoso spagnolo, metà ginnasta e metà fenomeno circense; dall’altro la machina sapiens perfetta, riempita di dati calibrati per ogni evenienza. Entrambi artisti, comunque: il trionfo del barocco e del cubismo, Velazquez contro Gino Severini. In fondo è stato un passaggio non più rinviabile, tra l’eredità del Novecento e il salto lunghissimo nei prossimi dieci anni e più.
“La delusione è tanta, questa sconfitta fa male anche se è stata una partita storica. Però non mi piangerò addosso né mi perderò per strada”, è la promessa di Sinner. Ma sa perfettamente che gli è scappata per un nulla la vittoria a Parigi, pur avendo messo a referto un punto più del vincitore: 193 a 192. Verità amarissima da mandar giù.