Diciannovesimo successo Slam di fila tra New York, Melbourne e adesso Parigi. Di nuovo semifinalista al Roland Garros un anno dopo. E decima vittoria in undici partite al rientro dai tre mesi di sospensione. Sono solo alcuni dei numeri di Jannik, ma bastano e avanzano. La realtà è che stargli dietro è difficilissimo: ci provano tutti, per ora solo uno ci riesce e si chiama Carlos Alcaraz.
Lo spagnolo ha spedito il coach Juan Carlos Ferrero al Philippe Chatrier, nel giorno di riposo, travestito da 007: mission impossible o quasi, uno spione in tribuna per sbirciare le carte coperte di Sinner opposto nei quarti ad Alexander Bublik. Il blitz non è stato inutile, anzi. Ferrero avrà di certo annotato le 19 palle corte che hanno dato molto fastidio al numero uno del mondo. E si sarà accorto che è buona norma non dargli ritmo, appoggiandosi a una prima di servizio pesante per iniziare in vantaggio lo scambio.
È quello che Bublik ha cercato di fare, con esito positivo soltanto nel secondo set. Il punteggio parla chiaro: 6-1, 7-5, 6-0 in un’ora e 49 minuti di tennis comunque divertente e spettacolare. Due stili totalmente diversi a confronto. Del fenomeno sappiamo che prende progressivamente il sopravvento, ti spinge con il dritto in un angolo buio e insiste nella demolizione con il trapano finché l’avversario si arrende. È lo schema prediletto dal boa constrictor che porta all’asfissia, o in alternativa al manicomio.
Bublik è un caso a sé. “Ci conosciamo abbastanza, ma con lui non puoi avere certezze: è imprevedibile”, ha sottolineato l’azzurro nel dopo match. È esattamente così. Nato in Russia ma dal 2016 con passaporto kazako, 28 anni fra dodici giorni, talento puro precipitato in classifica per noncuranza e adesso tornato a ridosso dei primi quaranta, ha uno stile di vita che si riverbera sul suo tennis: non voleva essere un duro e non gli importa del futuro.
Una chiacchierata con Monfils a Dubai, mentre era in crisi di risultati a inizio stagione, spiega esattamente come la pensa. “Gael mi ha ricordato che quando era arrivato nel tour c’era molta improvvisazione. Non si riferiva a Roger, Rafa e Novak. Però tra i primi 50-100 giocatori del ranking molti preferivano godersi la vita, non avevano il fisioterapista e spesso neppure l’allenatore. Oggi invece devi battere questi ragazzi nuovi, molto rigidi nelle loro routine di allenamento. Il discorso mi ha aperto gli occhi. Mi ha fatto capire che devi sfruttare le occasioni quando arrivano, e se le sprechi è una tua responsabilità”.
Stavolta non può rimproverarsi nulla: ha perso perché è stato investito da un bolide, con cui ha fatto partita pari per un po’. Finché il cannibale altoatesino se l’è mangiato a pezzetti, chiedendo gentilmente scusa con un sorriso e un abbraccio – sinceramente ricambiati – durante la stretta di mano finale.
L’inizio è stato raggelante per Sasha: doppio break e 4-0 al passivo in un quarto d’ora. Farà la stessa fine di Lehecka e Rublev divorati dal mostro, hanno pensato gli spettatori. È stato quindi naturale fare il tifo per lui, e festeggiarlo quando ha messo a referto il game dell’1-5: Bublik ha risposto alla folla esultando quasi avesse fatto gol. Simpatico all’eccesso, il 6-1 non l’ha spento. Proprio quel mattoncino, sistemato con cura sulla terra rossa, è stato infatti il trampolino per iniziare a tutto gas il secondo set.
Aiutato per di più dal servizio fino ad allora deficitario, che è ridiventato la chiave per scardinare la serratura di Jannik: il colpo sferrato a 210 chilometri orari e più, dall’alto dei suoi 196 centimetri senza contare l’allungo del braccio.
Salvata una palla break sul 3-3, Bublik ha trascinato Sinner ai vantaggi nel gioco successivo: l’unico momento delicato, la curva della sfida. Wonder Boy ha però replicato da fuoriclasse, centrando una veronica aerea e aspettando paziente l’occasione per la zampata. Arrivata puntuale sul cinque pari, complice un doppio fallo suicida del cosacco: il 7-5 è stato una conseguenza, senza ulteriori sussulti. In quell’attimo è sceso il sipario.
Determinato a non perdere più tempo, la Volpe Rossa ha accelerato le operazioni con tre break consecutivi e il colpo di grazia che aveva fin lì tenuto in canna: una smorzata vincente, la prima della sua partita. Dolce rivincita rispetto al diluvio di palle corte giocate dal rivale. “Oggi serviva stabilità e accortezza, sono molto contento”, ha chiosato ringraziando il pubblico ammirato.
Jannik e Musetti, che meraviglia. Due italiani in semifinale a Parigi non si vedevano da 65 anni: che la festa cominci.