Aveva un anno Sinner, quando Gasquet ha vinto il primo match al Roland Garros. Era il 2002, Richard doveva diventare l’erede dei leggendari Moschettieri: Lacoste, Borotra, Cochet, Brugnon. O quantomeno di Yannik Noah. Non è stato così. Eppure Richie, acclamato dalla folla nel giorno della derniére danse, ha lasciato comunque il segno del suo talento: un grande giocatore, non grandissimo. Pazienza, grazie lo stesso. Merci. Quel rovescio a una mano, lampo dalla traiettoria inestimabile, resterà un memorabile arco di luce tracciato nell’aria. L’ha giocato anche oggi incrociato e lungolinea, alla vigilia del trentanovesimo compleanno nell’ultima partita della carriera. La chiusura migliore che potesse desiderare: sul Philippe Chatrier, il cortile di casa, davanti al numero uno del mondo.
Sinner l’ha affrontato pensando solo alla partita, mettendo da parte le emozioni contagiose del momento. Nell’ottavo impegno ufficiale dopo i tre mesi di sospensione, i progressi di Wonder Boy sono apparsi evidenti. Facilità negli spostamenti, massimo equilibrio nelle scivolate sulla terra battuta, servizio con buone percentuali, precisione e pesantezza dei colpi. E soprattutto una attenzione meticolosa agli schemi e agli attimi cruciali che fanno la differenza. In sostanza due ore scarse di ottimo test, la prova d’orchestra dell’one man band alla ricerca dell’acustica perfetta. Non è ancora una sinfonia, manca la continuità per definirla tale, ma una nota alla volta lo spartito si va componendo. C’è ancora un po’ tempo per migliorare dentro la pancia del torneo: il prossimo ostacolo sarà il ceco Lehecka, più temibile sulle superfici veloci che sul mattone tritato. Nel frattempo il 6-3, 6-0, 6-4 di oggi è già un segnale rassicurante.
Jan ha preso subito le misure del francese, che aveva superato un anno fa nello stesso stadio. Superiore su entrambe le diagonali – a destra e a sinistra – ha disegnato il campo senza mai rischiare. Il break del 3-1 è arrivato di conseguenza, e se l’è portato dietro fino al 6-3 sbarrando la porta della prima frazione a doppia mandata. Il set successivo è stato un monologo recitato sul velluto. Palesemente in riserva, Gasquet ha rallentato offrendosi indifeso agli affondo del fenomeno: 6-0, quanta fatica sul volto di un uomo che fra venti giorni compirà 39 anni.

Ormai avviato ai titoli di coda, Richie ha avuto un sussulto. S’è ricordato con orgoglio d’essere stato il numero sette della classifica, di aver partecipato a 22 edizioni dell’Open parigino, di essere stato negli Slam due volte semifinalista a Wimbledon e una a New York. Senza però mai andare oltre i quarti al Roland Garros. Un paradosso? A tutto c’è una spiegazione. L’inizio della storia risale al 1996, quando la copertina di Tennis Magazine presentò Gasquet come il bambino di nove anni che sarebbe diventato un sicuro campione. Le premesse c’erano eccome, tanto che nel ’99 vinse il campionato del mondo per i ragazzini della sua età. Superando nella tiratissima finale, prima e unica volta, un certo Rafael Nadal: il mancino spagnolo simbolo di una generazione, che l’avrebbe battuto 18 volte su 18 nelle successive sfide tra i professionisti. Il peso delle aspettative è spesso l’avversario più difficile, che ti segue come un’ombra anche fuori dal campo. È il tennis, è la vita.
Prima però di uscire dal cono dei riflettori, il francese ha rivisto in un flash il film che conosce a memoria. Non poteva finire così, ha giurato a sé stesso. Perso per perso, ha proposto un tennis aggressivo che non è mai stato il suo. Ha sfoderato sul servizio di Jannik una risposta privilegio dei fuoriclasse. Si chiama Sabr, acronimo che sta per Sneak attack by Roger: l’attacco furtivo alla maniera di Federer. È una sorta di arrembaggio, un assalto alla baionetta usato per arrivare a rete in un baleno. Prendendo di sorpresa il rivale. La strategia ha pagato, Sinner non è riuscito a trovare subito le contromisure. Finché sul 4-4 ha trasformato la palla break che serviva per finirla lì, secondo le istruzioni arrivate dal coach Vagnozzi nel box. Dopo la stretta di mano e un abbraccio affettuoso, Jan ha lasciato il palcoscenico alla sconfitto: “Sei stato un grande tennista e una persona straordinaria”, ha detto al microfono rivolto a Gasquet. Le stesse parole che un giorno, fra cent’anni, un altro predestinato spenderà per lui nell’ovazione della folla.