Certo che a volte Musetti sembra fare davvero un altro sport. Il suo tennis ha tutto: stile, fantasia, varietà di colpi. E adesso, finalmente, anche la solidità. “L’ambizione cresce, so che posso giocarmela con tutti”, è il commento a caldo sul Simonne Mathieu dopo aver strapazzato – al di là del punteggio – Daniel Elahi Galan per 6-4, 6-0, 6-4. Un dominio totale, quasi imbarazzante, esclusi sette minuti di eccessiva confidenza che hanno caratterizzato il finale del primo set. Prima e dopo quella piccolissima pausa, soltanto un grande spettacolo del mago Lorenzo. Intendiamoci, il colombiano è un terraiolo 122 del ranking, senza particolari qualità e senza armi per difendersi da un virtuoso come il carrarino. In più arrivava da una maratona di quattro ore e mezzo contro il francese Royer, oltre ai tre match logoranti di qualificazione.
Anche gli scontri diretti s’erano dipanati a senso unico: 2-0 per il Muso, sul mattone tritato e sul cemento all’aperto. Per la verità c’era stata anche una terza sfida vinta l’anno scorso a Cagliari, però degna di nota. Perché si trattava di un torneo challenger, cioè l’ospedale dei giocatori in crisi di punti e risultati: questo era l’azzurro appena un anno fa, campione imperfetto che aveva smarrito la consapevolezza di sé. In meno di dodici mesi è cambiato tutto. Innanzitutto s’è preso il bronzo alle Olimpiadi incantando lo stesso Roland Garros che l’applaude oggi. Poi ha conquistato di nuovo la Coppa Davis a Malaga, seppure non da protagonista. Quindi da aprile in poi è stato finalista a Montecarlo e semifinalista a Madrid e Roma: tre Master Mille consecutivi. Che cosa è successo? Semplice: il talento assoluto s’è fuso con la maturità raggiunta sporcandosi le mani nel circuito minore. Con umiltà, con tenacia, con dedizione. La svolta nella vita privata ha fatto il resto: l’unione stabile con la compagna Veronica, la nascita di Ludovico, il secondo figlio in arrivo.
Così, tra numeri da illusionista e un abracadabra, ecco spiegata l’evoluzione di un ragazzo cresciuto così tanto da essere tra i grandi favoriti a Parigi. Il modo in cui ha fatto fuori Galan la dice lunga. E’ partito subito forte 5-2, al cambio di campo s’è fermato a prendere un caffè al bar, due chiacchiere con gli amici ed è tornato giusto in tempo per annullare l’unica palla break concessa e chiudere la frazione 6-4 in 48 minuti. A quel punto Lorenzo ha deciso di esagerare, tirando fuori tutta l’argenteria dalla vetrinetta di casa: mai una palla uguale all’altra, discese a rete seguendo il dritto ormai arma letale, attacchi in controtempo, volate e mezze volate, ace di servizio, la smorzata mortifera. E naturalmente il colpo d’autore: quel rovescio a una mano di folgorante bellezza, lungolinea o incrociato, in back o coperto. Il suo marchio di fabbrica.
Non c’è bisogno di raccontare il prosieguo, un plot scontato priva di sussulti e ricco invece di capolavori perfino nel vento e sotto la pioggia. Più interessante sarà il prossimo turno: il tabellone propone il pedalatore argentino Navone, che ha liquidato il gigantesco bombardiere americano Opelka. Ma il Muso che veleggia con i piedi saldamente poggiati sulle nuvole non dovrebbe temere brutte sorprese. Aspettando gli altri italiani: Jannik che domani affronterà il beniamino di casa Gasquet e il derby fra Cobolli e Arnaldi.

Missione compiuta anche per Paolini, che ha eliminato con un doppio 6-3 Ajla Tomljanovic. La garfagnina doveva dare un risposta dopo lo spavento dell’esordio, quando s’era trovata indietro di un break nella frazione decisiva davanti alla cinese Yuan. La sua prova è stata confortante, ancorché punteggiata da alti e bassi come ha ammesso lei stessa alla fine. Il risultato non è mai stato in discussione, ed è un peccato per l’australiana nata in Croazia che resta una atleta esemplare, in campo e fuori. Discreta, riservata, catapultata sulle copertine per la storia d’amore con Berrettini interrotta tre anni fa, è tornata sottotraccia difendendo la privacy da indebite intromissioni. Ex numero 32 del seeding, quarti di finale a Wimbledon e agli US Open, è stata penalizzata da un grave infortunio al ginocchio: operazione e un complicato recupero, non ancora completo. Vederla giocare è sempre un piacere. Colpisce la palla con violenza, precisione e rara eleganza dall’alto dei suoi 180 centimetri. E la ridotta mobilità è compensata da quel segno particolare sulla carta d’identità: bellissima.
Dal canto suo Miss Smile ha condotto il match con la solita intelligenza tattica, spostando l’avversaria a destra e a sinistra, costretta oltre la linea di fondo. Fatto immediatamente il break, Jasmine s’è portata dietro il vantaggio risolvendo il primo set 6-3 in poco più di mezz’ora, senza mai rischiare d’essere agganciata. Andamento in fotocopia nella seconda frazione, con un doppio break di Paolini salita 3-0. Pareva il preludio al finale in gloria, ma Ajla s’è affidata alla carta della temerarietà cambiando strategia. E’ avanzata di un metro, prendendo campo e mettendo costantemente pressione all’azzurra sulla seconda di servizio. Finché sul 3-4 ha avuto l’opportunità del pareggio, senza riuscire a sfruttarla. La sfida è finita lì. Tomljanovic l’ha chiusa con un doppio fallo, ormai arresa. “Facciamo un passo alla volta, ci sono tante giocatrici forti che possono vincere il torneo”, ha risposto Jasmine a chi le chiedeva se sente la pressione della finale disputata dell’anno scorso. Da brava formichina, costruirà anche stavolta il suo percorso impeccabile con i mattoncini Lego: c’è da scommetterci.