E insomma non è ancora il miglior Sinner, ma di lui ti puoi comunque fidare. È vero, si è complicato quasi da solo il match d’esordio sul centrale del Roland Garros. Quando però è stato necessario sprintare è saltato fuori dalla buca, risolvendo il problema alla sua maniera: da campione. È questo in sintesi l’estratto del confronto tra Jannik e Arthur Rinderknech, un gigante di 196 centimetri per 88 chili, laureato in Economia nel Texas, beniamino dello stadio e capace di tirare servizio e dritto a velocità super. Con queste armi, unite al coraggio e alla consapevolezza d’aver poco da perdere, il francese ha avuto un’impennata dopo aver smarrito le prime due frazioni: è scappato avanti 4-0 nella terza, con due break di vantaggio. Pubblico del Philippe Chatrier in estasi, Arturo in totale esaltazione agonistica: non era facile mettere in atto l’operazione rimonta. Il numero uno del mondo c’è riuscito ed è un gran bel segno, considerato che si trattava appena della settima partita d.C. (dopo il caso Clostebol). E così lo score finale 6-4, 6-3, 7-5 rappresenta in fondo una fotografia reale degli eventi.
Nel primo set la sfida era filata liscia, seguendo i turni di battuta fino al 4-4. Jan non era quasi mai riuscito a trovare le contromisure in risposta, anzi è stato proprio lui a concedere tre palle break all’avversario. Non s’è però scomposto, ha aumento il livello d’attenzione e mantenendo una velocità di crociera ha dribblato l’iceberg. Dal canto suo Rinderknech s’è ricordato nel momento clou d’essere il 75 del ranking: un dritto a uscire buttato via, un altro affossato in rete e patatrac. La frazione è volata via 6-4, secondo logica. E il fuoriclasse azzurro? L’impressione è che la messa a punto del motore sia un cantiere aperto, non un lavoro finito: il servizio è a mezzo servizio, il dritto va così così, gli spostamenti laterali sono da rivedere. Il colpo che invece funziona alla perfezione è il rovescio, giocato a occhi chiusi specie in lungolinea: un assegno versato in banca, con i cospicui interessi ritirati alla cassa ogni volta che occorre.
Il secondo set è scivolato via in fotocopia, a piccoli passi verso un logico 6-3. L’intenzione palese del Wonder Boy era tastare il terreno, alla ricerca degli automatismi che solo un match vero può restituire. Ma senza strafare o andare fuori giri, appoggiandosi perciò a una condotta particolarmente accorta: del resto quando ha provato a forzare il ritmo, è spesso caduto in errori gratuiti. Meglio quindi non sprecare energie inutilmente. Gli Open parigini sono un Tour de France lungo e faticoso, e il tennis al meglio dei cinque set è una battaglia cruenta da evitare nel cammino tortuoso verso la finale. Ma il copione è cambiato d’improvviso. Un passaggio a vuoto di Sinner, coinciso con alcune prodezze del rivale sospinto dall’arena, ha portato all’inversione di rotta: Rinderknech è scattato 4-0 e poi 5-2, dando spettacolo e prendendosi alcune licenze un po’ troppo plateali.
A quel punto, nel momento del bisogno, il fenomeno s’è trasformato nella macchina sparapalle che di solito è. Ha dato gas, spingendo sull’acceleratore per evitare l’appendice di un quarto set che pareva scritto. La progressione ha stroncato l’avversario, inerme davanti a un arsenale tanto superiore al suo. Jannik gli ha mangiato in una manciata di minuti tutto il vantaggio, l’ha sorpassato e ha chiuso autorevolmente con una botta di servizio. Applausi, sipario. “Il primo incontro non è mai facile, ma sono molto contento per come ho gestito le difficoltà nel terzo set”, ha commentato al microfono sul campo. Il prossimo turno sarà per metà una festa: il passo d’addio di Richard Gasquet, professore della terra battuta. “Un giocatore straordinario che ha dato molto al tennis”, l’ha definito in maniera impeccabile Sinner. Aggiungendo: “So che farete il tifo per lui, è giusto così”. Lo stile è una linea sottile, Jan ci cammina magicamente in equilibrio.