“Avrei firmato per arrivare in finale – dice Jannik -. È stato un buon test, molto speciale qui sul Centrale: ho provato a dare tutto quel che avevo”, comunque sorridente, disinvolto e disponibile alla chiacchiera, con in mano il piatto del vicerè del Foro. Chiaro che la sconfitta contro Alcaraz, la quarta di fila, per di più nella finale degli Internazionali a casa sua, gli ruga eccome: “Ho fatto un paio di scelte sbagliate, cosa che di solito non accade”, ha ammesso rammaricato. Ma è uscito dal buio di 104 giorni senza tennis e questo è ciò che più conta. Voleva sapere a che punto è la notte, ha avuto una risposta positiva nel primo set perduto per un’inezia e gravato da un tocco della sfortuna nei momenti cruciali.
Va detto subito che lo spagnolo gli è stato superiore, come ha riconosciuto con il solito fair play Sinner: “Sei il più forte sulla terra battuta, sarai il giocatore da battere al Roland Garros”. Lo score parla chiaro: 7-6, 6-1 è un epilogo senza discussioni. Mancano però all’incirca due settimane a Parigi, considerato che il numero uno del mondo è direttamente ammesso al secondo turno: un tempo utile per ripassare servizio e dritto, sistemare la preparazione fisica, alzare l’intensità e riprendere l’attitudine alla gara.
Il match è iniziato come ci si aspettava, un braccio di ferro basato sulla potenza e la velocità di palla. Alzare la voce per imporre la propria supremazia all’altro: pochi scambi lunghi, invenzioni pochissime. È stata una prova di forza totale, sempre sull’onda del batticuore e priva di ghirigori, con il ribattitore pronto ad aggredire l’eventuale seconda palla del giocatore al servizio. La trama s’è così snodata in rettilineo seguendo l’ordine di battuta, con una sola curva pericolosa: la palla break concessa e annullata dal Wonder Boy sul 2-2. Si è arrivati così alla prima vera porta girevole sul 6-5, quando Carlitos ha dovuto fronteggiare due set point. Jannik ha cercato di prenderseli senza successo: una risposta di dritto sul nastro, quindi il rovescio lungolinea – il suo rovescio, cercato e mirato – finito in corridoio.

L’approdo naturale al tiebreak ha premiato immediatamente Alcaraz, partito con il naso avanti grazie al dritto passante e due ace provvidenziali che hanno scavato il solco. Sinner però è rimasto a ruota, recuperando il minibreak grazie a un doppio fallo regalato dal rivale. Inutile. Un nastro malefico l’ha ricacciato indietro e il murciano s’è trovato con due set point e il servizio a disposizione. L’azzurro è stato bravo ad annullare il primo con una risposta aggressiva, ma sul secondo l’altro è partito in controtempo chiudendo la volée in campo aperto: 7-6, e quanti rimpianti.
In calo d’energia, il ragazzo di San Candido è progressivamente evaporato nella seconda frazione. Un centimetro di ritardo sulla palla, un filo di potenza in meno nei colpi: situazioni che non puoi concedere a uno come Alcaraz, inarrestabile quando tutto gira come vuole lui. I suoi lampi di classe hanno illuminato quel che restava del giorno, in un crescendo di palle break trasformate. La sfida è diventata un’esibizione dilagante di Carlos, con Jannik impegnato orgogliosamente a evitare almeno l’onta del sei a zero. Messo a referto un game, ha annullato due match point nel successivo, poi ha alzato bandiera bianca: servizio dello spagnolo nell’angolo, drop shot, volée: 6-1 e sipario.
“Sono molto contento di me – è stata la perfetta autoanalisi del nuovo re di Roma -, non solo per i colpi ma soprattutto per le scelte tattiche e l’aspetto mentale: non ho avuto alti e bassi, ma un rendimento costante su cui ho lavorato sodo negli ultimi tempi”. Poi ha reso pubblicamente l’onore delle armi all’avversario: “Sono stato molto felice di rivederti in campo, non riesco a immaginare come hai fatto a superare tre mesi di assenza dal tennis”. Dal canto suo Jannik ha perso la finale, non il buonumore. È sua la battuta dell’anno detta durante la premiazione: “Ringrazio il mio team, dobbiamo essere orgogliosi del nostro percorso. Ringrazio i miei genitori che sono qui in tribuna. E ringrazio anche mio fratello Mark, che ha preferito andare a Imola per la Formula uno piuttosto che vedermi in finale”. Un fuoriclasse, sempre e comunque.