“Non ho avuto fretta, c’è voluto del tempo per riprendere la racchetta in mano. Mi sono venute le vesciche. Ora mi sento libero”. Poche parole ma chiare, rilassato e sorridente, Jannik si offre ai riflettori e alle domande dei giornalisti di mezzo mondo. Consapevole che tante cose sono cambiate “però io sono sempre lo stesso”. Senza citarlo parla del doping che non è tale, analizzato attraverso la reazioni dei colleghi: “Ho avuto messaggi sorprendenti, che non mi sarei aspettato di ricevere, da parte di alcuni. E nulla da altri che credevo vicini. Non faccio nomi, pian piano passa”. Ripercorre i momenti più duri della clausura forzata: “Non potevo assistere a nessun evento sportivo. Non potevo andare allo stadio a vedere una partita di calcio o seguire una corsa ciclistica degli amici. Ma sono stato felice di stare con la mia famiglia”. Riflette ad alta voce sul suo status di personaggio fuori dal tennis, smentendo il gossip di un nuovo legame sentimentale: “C’è tanta attenzione attorno a me, basta una singola foto per dipingere una realtà inesistente. Ve lo dico: non ho una relazione”. Così è se vi pare.
Allacciate le cinture, la giostra è partita a tutta gas. L’arrivo di Sinner a Roma – è sbarcato ieri a Ciampino con un volo privato da Nizza – è una scossa elettrica che percorre l’Italtennis e non solo. Gli Internazionali sono partiti a razzo, la città eterna abbraccia il sole primaverile e aspetta il Conclave: per il momento Ri-habemus Papam. Una folla di curiosi s’è presentata in mattinata davanti alla Fontana di Trevi, per il sorteggio in grande stile dei tabelloni maschile e femminile. Dopo pranzo, via al media day con Jannik interlocutore in sala stampa. Poi, a metà pomeriggio, gli applausi a protagonisti e protagoniste dei trionfi in Davis e nella BJ King Cup celebrati sul campo. Infine, il momento clou verso sera: il ritorno dell’eroe in battaglia. Sul centrale del Foro Italico, 99 giorni dopo il trionfo all’Australian Open. È stata una festa mobile: il preludio a due settimane da raccontare minuto per minuto.
Tac, tac, tac. Quanto c’è mancato quel suono pulito, l’impatto nitido e ritmico della racchetta sulla pallina. E che bello sentirne di nuovo l’acustica pura, ormai alle spalle la storiaccia del Clostebol e l’ingiusta sospensione di tre mesi concordata con la Wada. Musica, maestro: fosse nato pianista, Wonder Boy sarebbe diventato Arturo Benedetti Michelangeli alla ricerca della nota perfetta. Il timore che le sue dita da virtuoso avessero perso elasticità è svanito in un attimo, quando ha scambiato i primi colpi dell’allenamento con lo sparring partner: il ceco Jiri Lehecka, 38 del ranking. Due ore serrate a simulare le tante partite mancate nel periodo di stop. Per ritrovare sensazioni, misura e adrenalina: l’affinità naturale con il gioco del diavolo che pochi come lui sanno esorcizzare. Fra entusiasmo e rispettoso silenzio, diecimila e cinquecento spettatori con il biglietto del ground hanno assistito sui gradoni all’epifania bis: bentornato a casa, campione.
Il suo livello è alto, non ancora altissimo. Il dominatore si sta cercando, l’ha chiarito lui stesso: “Ho poche aspettative in questo torneo. Sono stato fermo così a lungo, non ho feedback sul mio livello attuale. L’idea è superare il primo turno e poi vediamo”. L’obiettivo è evidentemente a largo raggio, la prima tappa si chiama Parigi. “Quando riprenderò confidenza con i match, i risultati arriveranno. Siamo molto tranquilli, stiamo bene fisicamente e mentalmente, siamo riposati: questo ci ripagherà anche a fine stagione”, è la sintesi espressa more solito al plurale, perché non esiste l’io senza la squadra a sostenerlo.
Non sarà facile riconfermarsi numero uno del mondo già alla prima uscita. Il tabellone gli ha apparecchiato un menu di terraioli, mentre Sinner e il mattone tritato non sono mai stati grandi amici. Tra i 19 tornei vinti in carriera, ce n’è uno solo sul rosso: risale a Umago, 31 luglio 2022, battè in finale Alcaraz. Il resto sono 17 successi sul cemento (compresi i tre Slam) e uno sull’erba di Halle undici mesi fa. E dunque proviamo a disegnare il possibile percorso, con tutte le cautele del caso. Jannik avrà un bye al primo turno e debutterà sabato contro Mariano Navone, l’alternativa è un derby con Federico Cinà. L’argentino è quel che in gergo si definisce un cagnaccio; il siciliano diciottenne, wild card a Miami e Madrid, è un prospetto figlio d’arte (suo padre è stato lo storico coach di Roberta Vinci).
Passato l’ostacolo iniziale, la strada diventerebbe subito sdrucciolevole: Davidovich Fokina è un brutto pesce, Cerundolo ancora di più – due anni fa quando buttò fuori l’altoatesino dagli Internazionali. Nei quarti Jannik pescherebbe comunque male: Ruud è appena risorto conquistando il Master 1000 di Madrid, Shelton è avversario tradizionalmente indigesto. A meno che il destino non gli riservi uno scontro fratricida con Matteo Berrettini: il romano è un enigma, è sparito dai radar per l’ennesimo infortunio e si è cancellato dal torneo di doppio con fratello Jacopo. Inutile correre troppo. Se andasse bene, è lecito pensare a una semifinale contro Taylor Fritz, aspettando Sasha Zverev o Carlitos per l’atto conclusivo.
Saranno 23 gli azzurri al via, tredici uomini e dieci ragazze; partecipazione record. L’attesa è grande anche per Musetti appena entrato tra i magnifici dieci. È nello spicchio di tabellone opposto a quello di Sinner, teoricamente il suo momento della verità sarà negli ottavi dove troverebbe il russo Medvedev. Tra le donne occhi su Paolini, dall’altra parte del seeding rispetto alla favorita Sabalenka. L’aspetta però un ottavo complicato contro la bestia nera Muchova, se ce la facesse avrebbe di fronte nei quarti l’americana Pegula. Ma sono solo ipotesi, basta niente per buttare all’aria i pronostici. Ultima annotazione: sarà in gara per la prima volta con la bandiera tricolore Tyra Caterina Grant, papà Tyrone campione Usa di basket e mamma Cinzia da Vigevano, l’ennesimo talento di un’Italia felicemente multietnica.