Montecarlo, Italia. Berrettini diventa re per un giorno sul centrale Ranieri III, incantando il pubblico vestito di tricolore. E Sinner sarà certamente felice di offrirgli stasera una cena nel miglior ristorante del Principato, con ostriche, gamberi rossi, spigola al sale e fiumi di champagne serviti senza pagare dazio. È il minimo sindacale per sdebitarsi in maniera adeguata con l’amico di racchetta, che gli ha fatto un favore grosso così. Matteo ha raggiunto gli ottavi buttando fuori dal torneo Zverev, prima testa di serie. Così di fatto ha annullato qualsiasi attacco residuo del tedesco al vertice della classifica mondiale: Jannik ha ora la certezza aritmetica di arrivare a Roma da numero uno. Con la prospettiva di un rientro in pista che sarà trionfale, coccolato dall’affetto straripante degli aficionados al Foro.
La partita di Berrettini è stata fantastica. Che coraggio, che forza, che bravura. Ci sono volute due ore e mezza e tre set in rimonta per venire a capo di una vicenda densa di emozioni, accessibile solo alle anime forti: 2-6, 6-3, 7-5 il risultato di una battaglia epica, risolta al fotofinish tra continui ribaltamenti. “Posso fare il colpaccio”, aveva detto Matteo alla vigilia. La sua prima parte di stagione, finalmente priva dei soliti infortuni e in continuo progresso di condizione, l’autorizzava a credere nell’impresa. E così è andata. Va detto subito che è stato lui a prendersi il match con autorità, non l’avversario a cedergli strada. Sasha per un set e mezzo ha mostrato la miglior versione di sé: un giocatore ritrovato nella fiducia dopo lo sbandamento post Australian Open, quel trofeo conquistato da Sinner ai suoi danni. Il tennis moderno è una scacchiera in movimento che somiglia terribilmente alla boxe: certe sconfitte lasciano un segno pesante nel corpo. E nella mente.
S’è visto chiaramente anche stavolta. La pressione non è sempre un privilegio: l’assenza forzata di Wonder Boy, fermo ai box per la sospensione legata all’affare Clostebol, ha per paradosso condizionato in negativo i suoi competitor. Rendendoli incapaci di approfittare dell’occasione. “L’aspettativa mi ha ucciso”, ha ammesso senza mezzi termini Carlos Alcaraz, anche lui protagonista di sorprendenti passi falsi: un fuoriclasse bambino, smarrito e in cerca d’autore. Lo stesso è capitato agli altri top ten, tutti più o meno vittime della Sindrome Sinner. Ed ecco che riemerge sulla scena uno come Matteo, uscito dall’inferno ma non ancora tornato al suo posto in Paradiso. Berrettini è un campione a tutto tondo, la combinazione servizio-dritto è forse la migliore del circuito, è stato numero sei del ranking e resta l’unico italiano ad aver raggiunto la finale di Wimbledon. “Molti pensano che mi esprimo al meglio sull’erba, ma sono cresciuto sulla terra rossa fino ai 19 anni”, ha chiarito all’intervistatrice che gli chiedeva conto dell’exploit. Superare l’ostacolo Zverev è stato per lui un primo risarcimento danni (e d’anni), altri ne seguiranno.
Il modo in cui ha azzannato il numero due del mondo dice tutto. Resettato un primo set punteggiato di troppi rischi e altrettanti errori, s’è imposto di cambiare passo. Riuscendoci un po’ alla volta. “Il mio piano di gioco non è cambiato dopo il brutto inizio, l’attitudine sì. Ho fatto un salto mentale, mettendo in campo maggiore aggressività”, ha spiegato al termine della sfida. Riposta in cassaforte la seconda frazione ottimizzando l’unica palla break, è rimasto attaccato alla coda di Sasha fino al 3-3 del terzo set. Lì ha strappato, spingendo il passante incrociato che ha costretto l’altro all’errore sotto rete: sorpasso. Quel piccolo vantaggio l’ha tenuto fino al 5-4, quando è andato a servire con la vittoria a un metro. Ma era destino che ci fosse ancora da soffrire. Matteo ha incassato suo malgrado il 5-5 che poteva tramortirlo, in quel momento estraendo dalla borsa le sue armi: il talento scintillante e un cuore al vanadio. Grazie a uno scambio logorante, infinito, bellissimo durato 48 colpi è arrivato a un nuovo break. Si è issato così sul 6-5, prologo alla felicità assoluta tra un palpito e l’altro. Fine della storia.
La rivincita sta nel disegno tracciato con il pennarello, sull’obiettivo della telecamera: un martello. The Hammer lo chiamano gli inglesi e tale Berrettini è stato a Montecarlo. Aspettando la festa italiana in riva al Tevere assieme all’amico di racchetta.