Che cosa sia successo davvero lo sanno in pochi: il medico, la sua squadra e naturalmente lui. Sinner ha sofferto, ha rischiato di ritirarsi, ma ha resistito vincendo un match drammatico contro Holger Rune. E davvero non si capisce come sia saltato fuori dal malessere misterioso, che non ha voluto rivelare ai giornalisti. Ci sono voluti quattro set prima di venirne a capo, e il punteggio di 6-3, 3-6, 6-3, 6-2 non può dire per intero quel che è accaduto sul cemento bollente della Rod Laver Arena. I numeri, i precedenti, la strategia preparata alla vigilia: tutto è saltato in aria verso la metà del secondo set, quando l’energia di Jannik s’è improvvisamente affievolita. Di botto, come un motore in riserva che procede a singhiozzo. Eppure aveva corso in carrozza la prima frazione con ordine e precisione assoluta, capace di imporre al rivale il suo gioco fatto di spinta e rapidità. Break a zero immediato in avvio e confermato al servizio, nel controllo pieno della partita. Senza concedere opportunità al danese, che proprio non riusciva a stargli dietro: la logica conseguenza è stato il 6-3 messo in cassaforte quasi in scioltezza.

L’andamento regolare della seconda frazione, seguendo i turni di battuta, è durato però fino all’ottavo game. Con Holger avanti 4-3, ecco la flessione imprevedibile e il momento delicato. Stranamente lento e scarico, Wonder Boy ha concesso una palla break arrivata dal nulla: doppio fallo e ciao. Il tennis è lo sport del diavolo, basta quell’attimo per ribaltare la prospettiva. Rivitalizzato dal passaggio a vuoto dell’avversario, il danese ha dato gas prendendosi il set 6-3. Malgrado tentasse di mascherare la condizione di inferiorità, è stato palese che ci fosse un problema fisico dietro il blackout di Sinner: difficile spiegare altrimenti il saldo negativo tra 13 vincenti e 21 gratuiti, consumato in così poco tempo. Lo stato di difficoltà s’è evidenziato con maggior chiarezza nel prosieguo, malgrado il primo game conquistato a zero d’autorità. In effetti il peggio doveva ancora arrivare. Perché sull’uno a uno, complici un altro paio di errori inusuali, Jan ha concesso due pericolosissime palle break a Rune. Annullata la prima in spinta, sulla seconda ha acciuffato un punto al limite del verosimile: il lob altissimo che ha ricacciato indietro Holger venuto a rete, un rovescio incrociato rimasto dentro per un’inezia e infine il colpo di reni del 40-40. Sforzo immane, pagato subito con la terza palla break. E qui è venuto fuori il carattere di granito, eredità delle sue montagne, a scacciare l’insidia nella forma di una ace figlio della Provvidenza. Anticamera del due a uno.
Sono stati dieci minuti lunghi un’eternità, vissuti con il cuore a mille dai protagonisti e dal pubblico in tribuna, tra applausi e sventolar di ventagli. Ma la nottata non era passata. La situazione critica s’è infatti ripresentata uguale sul 2-2, per colpa del quinto e sesto doppio fallo: la racchetta di Rune pareva una mannaia pronta all’esecuzione eccellente. In quel momento invece Sinner ha fatto capire ancora una volta perché è il numero uno del mondo (e Holger il numero tredici), tirando fuori dal cilindro il secondo asso decisivo. Pericolo scampato: che fatica, però. E quanta sofferenza. Al cambio di campo il ragazzo meraviglia ha infilato la testa nel bidone dell’acqua ghiacciata, l’asciugamano stretto attorno al collo, preso da tremore e senso di nausea palesi. Sono piombati al suo capezzale fisioterapista e dottore: misurazione della pressione, un breve conciliabolo, quindi i tre hanno preso la via dello spogliatoio. Il caldo australiano opprimente, probabilmente, e di certo l’afa della controra hanno inciso. Si ritira? Macché. Jan aveva continuato a giocare nelle medesime condizioni d’inferiorità a Wimbledon, portando Medvedev al quinto set. S’è aggrappato a quell’esperienza per andare avanti a Melbourne.

Dopo undici minuti di pausa forzata s’è ripresentato in campo rinfrancato. Anche il pallore in volto era sparito. Un po’ alla volta ha ricominciato a randellare dal fondo: è salito 4-3 e ha scippato d’impeto il servizio al rivale. Break cruciale, break della volontà e del coraggio per lo strappo del 5-3. Innervosito dalla piega negativa, il danese ha chiesto a sua volta il time out medico: un piccolo espediente per riordinare le idee, come fa sovente, mentre Sinner sorrideva ironico. Non è servito. L’altoatesino è filato via 40-0, sbrigando la pratica 6-3 alla prima palla utile con l’ennesimo ace – sarebbero stati quattordici al termine. Ma i colpi di teatro non erano finiti. All’inizio del terzo set, un servizio bomba di Sinner ha spaccato il sostegno che aggancia la rete al cemento. Inutile l’armeggiare degli addetti ai lavori per risolvere artigianalmente il problema: match sospeso, una benedizione per lui. “Venti minuti di pausa”, ha urlato ai suoi che l’hanno raggiunto negli spogliatoi con le bottiglie di integratori.
L’intervallo gli è servito a fare il punto sulle condizioni fisiche e sulla strategia, per rispedire all’inferno i cattivi pensieri. All’opposto Rune dev’essere stato visitato dai soliti fantasmi che di tanto in tanto lo punzecchiano, mandandolo in confusione. Alla ripresa del gioco è stato chiaro che la partita era segnata. Tornato padrone, Sinner sapeva esattamente cosa fare; l’altro è salito invece sulle montagne russe degli errori: è il suo gioco d’istinto, senza un piano preciso, che lo porta a esagerare senza controllo. Break sul 2-1, secondo break sul 4-2, Jan è andato a servire per il match con palle nuove sul 5-2, chiudendo i conti con un dritto micidiale. Il trionfo della resilienza, la capacità di reggere a qualunque difficoltà – il caso Clostebol insegna. “É’ stata una partita molto difficile ma sono restato in gioco, mi sono imposto di tenere il servizio e cercare una possibilità”, è stato il commento a caldo nell’arena.
Resta il mistero del suo malore. Jannik è stato vago al riguardo: “Nessun infortunio, la gamba è a posto. Ho avuto un problema già dal mattino, arrivando molto tardi allo stadio, e poi durante il riscaldamento. Ne avevo parlato con il dottore prima di scendere in campo: qui le condizioni sono difficili e tutti i giocatori ne soffrono, se poi non stai bene di tuo le cose sono ancor più complicate. Sapevo in anticipo che sarebbe stato così e ho tenuto duro. Ho giocato contro un avversario molto forte e contro me stesso”. Poi ha ammesso: “Quella pausa di venti minuti è stata una fortuna”. Niente di più è dato sapere. Superata la grande paura, l’occhio è già al quarto di finale dove troverà l’australiano De Minaur che ha regolato Michelsen in tre set. Il ragazzo di casa è la vittima prediletta di Sinner, che l’ha sempre battuto ed è il favorito. Nella speranza che il malore non detto abbia trovato una cura.