È proprio come Superman. Sinner scende dall’aereo martedì dopo il trionfo alle Finals di Torino, assaggia il cemento di Malaga per un giorno solo, strapazza l’argentino Baez, risponde all’intervistatore in campo, fa una doccia veloce negli spogliatori. E subito dopo si ripresenta come nulla fosse per il doppio che decide la sorte dell’Italia in Davis: dentro o fuori, noi o loro. Vinciamo noi, o meglio vincono Jannik e Berrettini che non giocavano assieme dall’Atp Cup, gennaio 2022. La scelta all’ultimo tuffo del capitano Volandri — i designati originari erano Bolelli e Vavassori — ha fatto saltare i piani dell’omologo Coria: due bomber che specialisti non sono, ma di enorme carisma, hanno fatto la voce grossa contro la coppia ipercollaudata Molteni-Gonzales, numero 21 del ranking. Un azzardo obbligato, visto lo stato delle cose: si trattava di una partita secca, senza esame di riparazione. Ma c’è un retroscena dietro l’inedita formazione con due singolaristi affiancati. È la promessa fatta dodici mesi fa, proprio a Malaga, da Jan a Matteo infortunato ma nel box della Nazionale: “L’anno prossimo vinceremo la Coppa assieme”. Il 2 a 1 acciuffato con il cuore in gola è appena il primo passo. Il secondo sarà battere l’Australia sabato per arrivare alla finalissima. Difficile, come s’è visto, ma tutt’altro che impossibile considerata anche l’eliminazione della Spagna di Alcaraz e Nadal.
Diciamolo subito. Il migliore dei quattro è stato Berrettini, rigenerato fisicamente, reattivo, tatticamente ineccepibile. Un martello implacabile come ai bei tempi, che poi sono roba di ieri e non preistoria. Sinner è stato il partner perfetto. Si sono integrati attraverso le caratteristiche peculiari di ciascuno: il big server e il più forte ribattitore del circuito, attenti a quei due. Gonzales, 41 anni, e Molteni, 36, veterani affidabili ma leggeri, hanno pagato due fattori: la differenza di cilindrata e l’abitudine dei nostri a giocare i punti importanti nei tornei importanti. E la Davis lo è, eccome se lo è, niente è più difficile che lottare per la bandiera e non per sé stessi. I due amici in maglietta azzurra hanno saputo sommare le proprie individualità, consapevoli di non essere una coppia abituale ma di fatto. Matteo non ha mai disputato il doppio quest’anno, l’unico torneo vinto da Jannik in una disciplina non sua risale all’agosto di tre anni fa: il compare quella volta fu l’americano Opelka, gigante che batte come un fabbro medievale. O come Berrettini, se preferite.

Gli azzurri non hanno mai rischiato nel match, concedendo la miseria di una palla break solo in avvio. I turni al servizio sono scivolati via lisci fino al quattro pari: in quel momento una striscia travolgente di otto punti ha lanciato la coppia più bella alla conquista del primo set. Stesso svolgimento nel secondo, con una variante ininfluente: il break è arrivato sul cinque a cinque, logica conseguenza di un dominio assoluto al di là del punteggio troppo stretto. “Ci ha sostenuti una grande energia”, ha commentato il romano nel dopopartita. “La dedizione, la voglia di soffrire, l’impegno di Jan hanno fatto il resto. Quanto a me, avrei giocato anche il misto se ce ne fosse stato bisogno, tanta era la voglia di esserci”. “Siamo amici in campo e fuori — è stato il controcanto dell’altoatesino — e anch’io, che non sono impeccabile a rete, me la cavo bene se dietro c’è uno come lui. È stato un onore e un divertimento”.
Tutto è bene quel che eccetera eccetera. Ma l’esito del primo match nella sfida Italia-Argentina era stato raggelante quanto inatteso. Un crollo. Musetti negativo e sotto tono ha ceduto nettamente 6-4, 6-1 a Cerundolo, che ha dato il punto dell’uno a zero ai sudamericani. Ha cominciato con un doppio fallo, per poi strappare immediatamente il servizio al rivale. L’inizio promettente è stato però un’illusione. L’argentino ha pareggiato il conto e i quattro game successi sono stati un’orgia di palle break, break e controbreak. Il perché è spiegato dalle facce da mal di stomaco dei contendenti: tanta pressione, errori gratuiti a grappolo, lotta serrata sul filo dei nervi. Poi, improvvisamente, sul 4-4 s’è aperta una crepa nell’anima di Lorenzo. Che ha ceduto il servizio a zero, oppresso dalla tensione. Per il principio dei vasi comunicanti, quel che ha smarrito l’italiano è finito nella tasca dell’argentino: Francisco ha costruito otto punti consecutivi, infilando un rassicurante (per lui) 6-4. Senza storia la seconda frazione, con l’azzurro in disarmo. Conoscendolo, Lorenzo faticherà a perdonarsi. Si tormenterà rischiando di rinnegare tutto il buono di una stagione eccellente: numero 17 della classifica, il bronzo olimpico, due finali, la semifinale da urlo sull’erba di Wimbledon fino alla vittoria su Zverev a Vienna quattro settimane fa. Il matrimonio e un figlio hanno contribuito ai progressi caratteriali che un ko non deve rimettere in discussione. Certe sconfitte sono così, pesano più di altre, ma succede: la Davis è una brutta bestia. Muso ha il tempo per rimediare, ci sono ancora due ostacoli verso la Coppa.
Sceso in campo con l’obbligo di rimontare, Sinner ha chiuso la pratica Baez come ordinaria amministrazione: 6-2, 6-1 in meno di un’ora. S’è preso il tempo che ci vuole — cinque minuti scarsi — per mettere a punto l’artiglieria pesante, quindi ha sparato ad alzo zero nel brusio del pubblico ammirato. Facendo sembrare il numero 27 del ranking, argentino orgoglioso e resiliente, un ragazzino indifeso. Doveva sbrigarsi, Jannik, perché c’era il fuori programma del doppio ad attenderlo. Missione compiuta e lode a Volandri che ha fatto la scelta giusta. Meno bravo di lui era stato in mattinata Bob Bryan, capitano degli Usa, che ha sbagliato tutto schierando Shelton in singolare, sconfitto da Kokkinakis in un folle tiebreak, e nel doppio accanto a Tommy Paul (battuti dagli specialisti Ebden e Thompson). Una catastrofe che ha reso vano il facile successo di Fritz su De Minaur. E così, a un anno di distanza, sarà di nuovo Italia-Australia: un classico senza pronostico.