“Il lavoro non finirà mai, c’è ancora tanto da fare”. Che cosa volete dire a uno così, se non grazie d’essere nato in Italia? Ha appena firmato l’ennesimo successo: le Finals, sfiorate l’anno scorso contro Djokovic e conquistate stasera battendo con un duplice 6-4 un sontuoso Taylor Fritz. Sinner ha dominato la stagione dall’inizio alla fine, da gennaio a novembre. Dagli Australian Open nell’estate down under agli US Open di New York a settembre, una doppietta Slam mai riuscita a nessun italiano prima. Nel mezzo i titoli Master 1000 di Miami, Cincinnati, Shanghai. E resta ancora un traguardo da tagliare: la Coppa Davis a partire da giovedì a Malaga, debutto contro l’Argentina. Eppure nel momento della festa lui pensa a migliorarsi, che significherebbe compiere un’impresa al limite dell’umano: toccare la perfezione.
“Ci aspettano anni difficili”, ha profetizzato il russo Medvedev rivedendo alla moviola l’incontro perso a Torino e la sequenza di dolorosi ko patiti per mano di Jannik. “Nessuno tira forte come lui, ti soffoca”, ha sussurrato il russo, sconcertato e inerme davanti all’evidenza. La stessa frase usata da tutti gli avversari che ne hanno attraversato il percorso: schiacciati da un mostro gentile, che prima ti divora e poi chiede scusa. Sinner ha trionfato a Torino senza lasciare per strada neanche un set, record staccato per l’ultima volta da Ivan Lendl nel 1986: un’altra epoca, quando si giocava con le racchette di legno. Altro primato sono i due tornei Slam messi in cassaforte assieme alle Finals nella stessa stagione, tutti sul cemento. La coincidenza ci riporta a due leggende: Federer e Djokovic. E qui entriamo con circospezione nell’Olimpo del tennis, parlando a bassa voce per non disturbare gli Dei. Ha ragione Medvedev, che gioca a scacchi e legge Dostoevskij: la generazione sua, di Zverev, Rublev e Tsitsipas — destinata a raccogliere l’eredità dei Big Three — rischia d’essere spazzata via da un uragano con i capelli rossi.
Malgrado però lo strapotere, malgrado la superiorità tecnica, malgrado le qualità mentali superiori, il match contro Fritz è stato tutto fuorché una scampagnata. A dimostrazione che il tennis non è una scienza esatta. L’americano aveva avvisato subito dopo la sconfitta di martedì nel girone di qualificazione: “Penso di essere migliorato rispetto alla finale persa a New York, ho modificato il dritto e altre cosette. Qui ho avuto occasioni che non ho sfruttato, ma ho capito di essere molto vicino al livello di Jannik”. Una percezione quasi esatta. Il primo set è filato in equilibrio fino al 3-3 sulla scia del servizio: l’arma preferita di Fritz e oggi, a sorpresa, tremendamente efficace anche per l’altoatesino, capace alla fine di centrare tredici ace. Per lui un’enormità, pur tenendo conto dei grandi progressi fatti in quel fondamentale negli ultimi dodici mesi. La frattura è avvenuta allora per un paio di sbavature di Taylor, che hanno allungato il settimo game e concesso all’azzurro quattro palle break. Wonder Boy non s’è fatto scappare l’occasione, mettendo fine al braccio di ferro con due acuti: una smorzata chirurgica e una risposta di rovescio lungolinea, piazzata nell’angolo.
Pareva fatta, ma Fritz ha dimostrato di crederci. Ha giocato in modo superbo, aggressivo, rispondendo da vicino e reggendo lo scambio da fondo. Si è così procurato la palla del controbreak che avrebbe potuto riaprire la sfida, ma in quel frangente così delicato è emersa la solidità di Sinner: con due prodezze ha respinto la minaccia, infilando un confortante 6-4 nello zaino. Simile la seconda frazione, anche se lo strappo è arrivato prima: sul 2-2, grazie a un’accelerazione imprendibile di Jan. L’americano è rimasto comunque aggrappato alla partita, e questo va a suo maggior merito. Ha tenuto il pallino al servizio, tentando l’ultimo assalto in risposta sulla dirittura d’arrivo. Non ce l’ha fatta solo perché il ragazzo meraviglia ha messo in tavola l’argenteria: una palla corta di velluto e un dritto a sfondare, prologo all’ultimo colpo festeggiato finalmente con un sorriso e le braccia larghe. “Ho perso con il più forte che c’è nel circuito”, ha ammesso un Fritz all’altezza del suo quarto posto nel ranking.
Dall’altra parte della scena, tripudio per la vittoria numero 70 del Pel di carota a fronte di sole sei sconfitte. E soprattutto primo titolo conquistato in Italia: “Questo vuol dire tanto per me, è un’emozione speciale”, ha detto felice fra i boati del pubblico pazzo di gioia e colorato d’arancione. E’ stata una serata speciale con l’abbraccio collettivo fra il conquistatore, la sua squadra, papà, mamma e fratello. Con la dedica e la foto ricordo per il brasiliano Carlos Bernardes che ha arbitrato la sua ultima partita. E con l’annuncio che le Finals resteranno a casa nostra per altri cinque anni, premio a un movimento che è diventato il primo al mondo. Grazie al giocatore primo al mondo, che resterà tale per tanto tempo ancora.