Il bronzo olimpico del lungo è italiano, ha 19 anni, un nido di capinere sulla testa e due molle al posto delle caviglie. Si chiama Mattia Furlani ed è insieme una rivelazione e una conferma. Se si pensa che fino al 2022 era ancora tentato dal salto in alto, si capisce che è un talento purissimo. Se poi si riflette sul fatto che s’è presentato ai Giochi con il titolo di vice campione europeo, non ci sono dubbi: è l’asso del futuro. Un simbolo della meglio gioventù che arricchisce la nuova atletica azzurra al di là dei centimetri, del cronometro e del colore della pelle. Del resto Furlani era stato battezzato nel giugno scorso sulla pedana di Roma proprio dal greco Miltiadis Tentoglou, che stasera ha conquistato l’oro di Parigi dopo quello di Tokyo: “Fate crescere Mattia senza pressioni, è un campione autentico”, disse dopo averlo battuto. Il giudizio resta intatto, anzi ancor più rafforzato.
La gara non è stata condita da misure strabilianti, ciò nonostante il fattore emozionale l’ha resa avvincente. Mattia ha lasciato la sua impronta sulla sabbia già al primo tentativo, portandosi in testa: 8,34 con un metro di vento contrario. Spinta, battuta, assetto di volo, atterraggio: tutto ha funzionato in un salto di rara bellezza, abbagliante come un flash. Il primato è durato finché il prode Milziade, eroe timido, ha replicato con un 8.48 che nessuno avrebbe superato. In mezzo s’era intanto inserito il colosso giamaicano Pinnock, che con 8,36 ha messo in cassaforte l’argento. Furlani ha provato a scardinarla fino all’ultimo, collezionando per un’inezia due nulli che avrebbero meritato miglior sorte. Ma è stato ugualmente bellissimo vedere il giovanotto, con il tricolore addosso, ridere fra le lacrime. “So che sembro un piagnone, è stata l’emozione più grande della mia vita, lo giuro”, ha spiegato al microfono. C’è da capirlo, e un po’ da invidiarlo.
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Perché la nuova generazione degli atleti è moderna, disinvolta, matura. Padrona del mondo. Consapevole che “il talento ce l’hai dalla nascita, ma si migliora solo con il lavoro”. Tradotto: allenarsi sei giorni a settima, alternare carico e scarico, curare ogni particolare “con passione, amore, determinazione per crescere prima di tutto come persona”. Sembra di sentire parlare Sinner e fa bene al cuore: le dichiarazioni di quello che è diventato ufficialmente una faccia di bronzo sono il florilegio del buonsenso di cui abbiamo tanto bisogno. C’è il sé, e ci mancherebbe che non fosse così, però ci sono anche gli altri. E il fuoriclasse in embrione è dotato di ottima vista periferica: “Spero d’essere d’esempio per i bambini che si avvicinano allo sport, trasmettendo il valore dell’inclusione”, spiega forte e chiaro.
Quanto conti la famiglia in tutto questo è quasi scontato dirlo. Il padre Marcello è stato un saltatore in alto da 2,27; la sorella Erika campionessa italiana della specialità nel 2017; la madre Khaty Seck sprinter di origini senegalesi — è lei l’allenatrice del benedetto figliolo. Se aggiungi che la fidanzata è Giulia Colonna, velocista dei 100 e 200 metri, il cerchio si chiude: prova a prenderli questi ragazzi. Hanno appreso attraverso l’esempio come ci si comporta durante la preparazione e in gara: il piacere e il dovere, un’equazione semplice da risolvere quando hai le giuste coordinate. “Contano i risultati ma ancora più importante è godersi il viaggio tappa per tappa. Ho visto tanti amici perdere la strada, perché le sconfitte insegnano ma sono dure da digerire. E così c’è chi la pianta lì”. Ci sarà tempo per riflettere sulle pressioni, sulle aspettative, su chi è marchiato come perdente se arriva quarto o viene eliminato in batteria: è uno dei temi importanti delle Olimpiadi. Ma stasera solo salti di gioia.