E dopo tre ore e cinque minuti di una finale a senso unico, dominata dallo straripante Alcaraz su un Djokovic irriconoscibile, il diavolo ha deciso di intervenire. È sceso in campo invisibile, ha distratto Carlitos, gli ha rubato la concentrazione e l’ha nascosta nella borsa con un trucco da prestigiatore. Tutto in un attimo, lo spagnolo non se n’è neppure accorto. L’irruzione è stata una trasfusione nelle vene del Vampiro serbo, che ha ribaltato un match totalmente compromesso: lo score diceva due set, 5-4 e 40-0 contro di lui, con il ragazzo di Murcia a servire. Nole ha affilato i canini e ha sorpassato il rivale, presentandosi rinvigorito al tie break che poteva riaprire la sfida.
Non è andata così. Alcaraz si è ritrovato, producendo altri due Championship point: è bastato il primo. Fine della storia. Oppure la sua continuazione, visto che aveva vinto Wimbledon già nel 2023, di fatto impedendo al Dj di fare il Grande Slam. E sono due. Sommando a questo trionfo la cavalcata al Roland Garros del mese scorso, appuntiamo sull’albo d’oro del tennis una doppietta che è stata solo di pochissimi. Alcuni di loro erano in tribuna, una parata di fuoriclasse: Agassi, Edberg, Chris Evert. E c’era anche Stan Smith — così i nostri figli avranno scoperto che le scarpe preferite hanno una faccia, non solo un nome.
Ma che partita è stata? Se non ci avesse messo lo zampino Satanasso, non avrebbe avuto senso. Il game iniziale aveva dato un’impressione sbagliata a pubblico e commentatori: lotta aspra fin dal primo scambio fra risposte folgoranti, combinazioni serve and volley, ace, passanti e scambi durissimi. Il serbo ha annullato quattro palle break, ma alla quinta ha chinato la testa. Messo il naso avanti, Carlos è partito a tutto gas senza trovare resistenza. Il primo set si è chiuso rapidamente. Troppo, per le abitudini di Nole che sapeva di non dover lasciare spazio all’avversario. Il suo progetto è saltato in aria.
Alla vigilia aveva annunciato: “Domenica sarò sul Centre Court per prendermi la coppa”. Non solo non c’è riuscito, non c’è andato neppure vicino. Difficile riconoscere oggi il marziano che è d’abitudine: remissivo, inerme, sfibrato, incerto nelle scelte tattiche. Non s’è mai acceso. La partita gli scorreva addosso senza suscitare una reazione: il giocatore che venerdì aveva dato spettacolo, opposto a Musetti, è rimasto a casa e il suo sosia era una pallida copia. Inutili anche le ripetute sortite a rete — hanno fruttato la miseria di otto punti su ventuno discese — dovute alla necessità di evitare il braccio di ferro dal fondo, più che a una precisa strategia. Così, per incredibile che fosse, dopo un’ora e un quarto Alcaraz aveva messo a referto un doppio 6-2 impronosticabile alla vigilia. Djokovic, in piena crisi, ha trascurato perfino la rituale capatina negli spogliatoi, che gli serve per guardarsi allo specchio e interrogare il proprio io su ciò che sta succedendo. Neppure quello. Zero.

Soltanto nel terzo set c’è stata una piccola scossa. Partito con un vantaggio minimo, Novak ha lanciato l’urlo di guerra che il pubblico aspettava e ha tenuto duro fino al 4-4, issandosi a una palla break non trasformata. Poi il patatrac. Lo spagnolo ha travolto gli argini con due colpi da fantascienza: un dritto passante al volo, poi un rovescio incrociato l’hanno introdotto all’anticamera della vittoria. Finché sul 5-4 il diavolo ha mischiato le carte, dimenticandosi però di fare i coperchi che sarebbero serviti tremendamente al serbo. Non era giornata.
“Non mi ha sorpreso la sua reazione quando sembrava che avessi già vinto, è un lottatore e non si arrende mai. Io ho cercato di rimanere positivo e ho trovato la soluzione”, ha sintetizzato Alcaraz con il trofeo in mano. Mai in imbarazzo in campo, lo è stato almeno nell’inchino alla principessa Kate — madrina di Wimbledon, bella e sorridente, vestita di viola — accolta da un’ovazione che esprimeva affetto, emozione, solidarietà, partecipazione di un popolo alla sua battaglia contro la malattia.
Resta il giudizio da dare alla prestazione del Dj. Se consideriamo che ha giocato la finale 39 giorni dopo l’intervento al menisco, con la ginocchiera del dottor Gibaud, ha fatto un miracolo. Se invece prendiamo in esame la partita in sé, allora la delusione è grande. L’ha ammesso lui stesso durante la premiazione: “Non sono stato all’altezza del mio tennis, ho provato invano ad allungare il match. Sono deluso. Però orgoglioso di essere arrivato fin qui”. E poi: “Alcaraz l’avete visto tutti, ha strameritato perché a 21 anni gioca in maniera formidabile”.
Il verdetto di Church Road ufficializza quel che in fondo sapevamo: ci sono due numeri uno al mondo. Lo è per le statistiche (e non solo) Jannik Sinner, 23 anni, meritatamente al vertice delle classifiche che fanno testo. La prima aggiorna sistematicamente la tabella dei punti, aggiungendo quelli conquistati nell’ultima settimana e scartando quelli degli omologhi tornei 2023. La seconda riguarda l’anno solare, è la race che consentirà ai magnifici otto di contendersi il titolo di maestro alle Finals di Torino, dal 10 al 17 novembre. Meglio ribadirlo: il ragazzo rosso oggi è il campione del mondo, non un abusivo. Alcaraz è l’altro numero uno, senza scettro ma dotato di un talento sbalorditivo, coniugato alla strapotere atletico che ne fa un fenomeno circense. Sono entrambi il presente e il futuro del tennis e diventeranno ancora migliori grazie a una rivalità benedetta, condita da amicizia e fair play. Il gioco è in ottime mani. Ma non date per morto il vecchio zio: è un Highlander, ed è amico del diavolo.