“Stava giocando così bene che non sapevo cosa fare. Se scendevo a rete, arrivava su ogni palla e mi passava. Serviva con efficacia, mi rubava il tempo e faceva pochissimi errori. È impressionante, mi sono detto”. Pensieri e parole risalgono alle tre del mattino del 2 giugno scorso, e appartengono a Novak Djokovic. Il serbo aveva appena concluso un match maratona al Roland Garros eliminando Lorenzo Musetti, che a lungo aveva accarezzato l’idea di potercela fare. A parti invertite, quaranta giorni dopo, è quanto dev’essere passato per la testa del carrarino sul centre court di Wimbledon, durante la storica semifinale che l’ha visto sconfitto, ma comunque grande protagonista. A guardare lo score non si direbbe: 6-4, 7-6, 6-4. Ovvero un dominio quasi totale dell’avversario. Eppure c’è sempre stata una finestrella aperta dove potersi infilare e il Muso ha continuato a crederci, oltre l’evidenza dei fatti.
“Stai giocando bene, non devi abbatterti”, gli diceva il coach Simone Tartarini dal box. Raccomandazione giusta, perché nel gioco del diavolo tutto può succedere. Tutto. Perfino che chi vede il baratro a un centimetro, sommerso da tre match point contro, trovi la forza, il coraggio e la tecnica per ribellarsi a una fine già scritta. Musetti si è rialzato, ha piazzato una serie di punti di grande sartoria e si è issato alla palla break che poteva riaprire la sfida. È stata un’occasione vera, dissolta purtroppo dentro un dritto finito in rete. Djoko, partita, incontro.
Malgrado il ko, solo complimenti per Lorenzo il magnifico capace di incantare il pubblico con le sue magie. Una in particolare nel secondo set: il passante incrociato di rovescio tirato a un millimetro da terra, che ha distrutto la tana costruita da una talpa sotto l’erba. Momento in cui è venuto giù lo stadio: è rimasto quello il punto più bello, premio di consolazione per il giovane artista. Il fatto è che il rivale ha volato altissimo. Dopo mesi di grigiore s’è rivisto il marziano dei 24 Slam, dei 7 trionfi a Londra e di un’altra montagna di record. Il che ha dell’incredibile pensando che il 5 giugno era in ospedale operato al menisco, come testimonia la ginocchiera che gli fascia la gamba destra. Ma un cannibale è un cannibale e non si ferma davanti a questi dettagli. Tracciando il campo con squadra e righello, Nole si è messo in tasca il primo set disinnescando il rovescio in back con cui il toscano aveva spedito alla neuro giovedì l’americano Fritz. Rispetto all’abituale copione fatto di geometrie variabili — il serbo è uno dei massimi esperti globali di balistica — Djokovic ha impostato una inedita strategia serve and volley che gli ha fruttato cospicui dividendi. Se a questo si aggiunge la sua proverbiale risposta, ecco che Musetti è stato costretto sempre a inseguire nel punteggio.

La musica è leggermente cambiata nel secondo set. Lollo è partito a bomba, prendendosi un break e difendendolo con tenacia nel game successivo, il più combattuto e spettacolare dell’incontro. Scambi sulle righe, parabole, accelerazioni, lampi, tocchi, smorzate, chiamate thrilling del falco e una veronica di Musetti, sublime bellezza applaudita con fair play anche da Novak. Non è bastato. Il serbo ha pareggiato il conto sul tre a tre, poi ha messo la freccia del sorpasso. Lorenzo non ha mollato, a conferma della sua crescita esponenziale sul piano mentale. Dopo 69 minuti di battaglia ha ceduto però al tie break, schiacciato dal pressing di Djokovic. Il quale non ha fatto una piega, non ha neppure esultato e si è diretto verso la sedia con il passo del serial killer che ha collezionato l’ennesima vittima: good job, Hannibal Lecter.
Il terzo set sarebbe stato una pura formalità senza la resistenza eroica di Musetti, che è rimasto attaccato all’incontro sperando nel miracolo: un atto di fede, più che una reale possibilità di ribaltare il tavolo. Merita anche per questo l’onore delle armi. A fine partita l’extraterrestre ha spiegato con una frase significativa i suoi programmi futuri: “Domenica intendo prendere il trofeo e portarmelo a casa”. Carlos Alcaraz, che nel primo pomeriggio aveva superato il russo Medvedev cedendo il set iniziale, è avvisato: il vecchio zio c’è e non ha nessuna intenzione di andare in pensione. “Giocherò ancora una quindicina d’anni”, ha annunciato ridendo. Difficile dire se fosse solo una battuta.