Ci ha provato e non ce l’ha fatta. Il verdetto è brutto sporco e cattivo come il match giocato sul center court di Wimbledon: Sinner è out, Medvedev va in semifinale. E’ caduta la testa rossa del re, vittima di troppi alti e bassi che l’hanno in fondo assimilato al suo avversario. La partita a scacchi, emozionante e tatticamente avvincente più che raffinata dal punto di vista tecnico, s’è avvitata attorno a due aspetti: il corpo e la mente. Nell’ottovolante a più facce, alla fine di cinque set tiratissimi e a capo di oltre quattro ore di lotta spietata – 6-7, 6-4, 7-6, 2-6, 6-3 lo score finale – l’ha spuntata chi ha avuto più energia e maggior lucidità. Certo il consuntivo dei numeri suona beffardo: Jannik ha portato a casa 4 punti in più del russo, frutto soprattutto di un quarto set conquistato di slancio. Ha servito più ace: 17 contro 15. Ha fatto 4 doppi falli contro gli 11 di Meddy, che d’abitudine mette in conto la scelta del rischio massimo nel suo tennis. Stavolta la strategia ha pagato, dopo una serie di 5 sconfitte consecutive il campione russo ha fatto fuori il nostro eroe. Va detto comunque che nell’esame complessivo della sfida la percezione è che la vittoria sia andata oggi al più meritevole, anche se il ragazzo italiano c’è andato vicino.
Resta la grande delusione. Sinner s’è presentato a Church Road da numero uno al mondo, accolto dall’affetto di un pubblico trasversale che l’ha adottato come beniamino. Che sia stato eliminato è dispiaciuto a tanti, ma fa parte del gioco. E le attenuanti ci sono eccome. La partita ha avuto il suo momento chiave all’inizio del terzo set – l’altoatesino aveva prevalso nel primo sul filo di lana del tie break, il moscovita aveva impattato nel secondo. Il punteggio era 2-1 per Medvedev quando al cambio di campo Jannik s’è seduto affranto, chiedendo l’intervento del fisioterapista arrivato di corsa assieme al medico. Il cenno è stato eloquente, un gesto con la mano: mi gira la testa. Che cosa succede? Il saturimetro ha probabilmente indicato che il grado di ossigenazione del sangue era insufficiente. Per le telecamere è stato impossibile seguire gli sviluppi, fatto sta che l’azzurro è rientrato negli spogliatoi assistito dai sanitari per poi uscirne undici minuti dopo. Tempo limite assegnato dal regolamento. “Ho visto che stava male, quasi non riusciva a correre: ho cercato di metterlo in difficolta, di farlo soffrire”, ha spiegato poi il vincitore nell’intervista di rito. E’ la regola: quando l’altro è in difficoltà devi essere spietato e affondare la lama.

Imprevedibilmente però Pel di Carota è riemerso dal tunnel senza sventolare bandiera bianca. A poco a poco ha ripreso confidenza con la partita, ha accorciato i tempi, ha variato i colpi alternando il forcing da fondo al rovescio in back, ha tirando fuori dal sacco la smorzata utile ad attirare l’avversario in quella terra di nessuno vicino alla rete che detesta. Il carico di energia inespressa è sgorgato dal vortice di orgoglio, frustrazione, rabbia: ha tirato fuori tutto quel che aveva, da fuoriclasse qual è. Uno che non ci sta mai a perdere. Sinner ha ripreso il match per i capelli, ha rimontato, ha sorpassato 6-5, s’è guadagnato due miracolose palle set sul servizio del rivale. Lì è venuta fuori la caratura di Medvedev, che giusto due anni e mezzo fa guardava tutti dall’altro in basso, seduto com’era sullo sgabello del numero uno del ranking. Ha portato il set al tie break e l’ha fatto suo con un ace dopo 69 minuti di lotta. In quel momento nessuno avrebbe più scommesso un euro su Jannik. Ma lui è lui, nella buona e nella cattiva sorte. Ed è è resuscitato per la seconda volta.
Il quarto set è volato via liscio in 29 minuti, un battito d’ali che ha premiato il fuoriclasse di San Candido. Tutto rinviato alla prova del fuoco, l’ultimo set dove basta una sbavatura, un nastro maligno, una minuscola distrazione per mandare tutto all’aria. Senza appello. Sinner ha avuto l’occasionissima nel terzo game, propiziata da due doppi falli di Daniil, ma il treno è passato in un lampo lasciandolo a terra. Per contrappasso il break arrivato subito dopo, a suo danno, e il russo è scappato via senza farsi più riprendere. Fine. Fine del sogno d’essere il primo italiano a vincere Wimbledon. Chi vince festeggia, chi perde spiega. Jannik spiegherà ai coach le difficoltà trovate in campo, il team gli spiegherà gli errori fatti al di là del malore. Capirà perché impara in fretta. E la prossima volta andrà diversamente, questa è quasi una certezza.
